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Russiagate, Conte: “Allusioni su un baratto con Trump? Accuse infami, non sanno di che parlano”. E sfida Renzi: “Vada al Copasir a dire tutta la verità”. Il leader Iv: “Pronto a un confronto tv all’americana”

Repubblica ripercorre la missione a Roma (nell'agosto 2019) dell'ex segretario alla Giustizia William Barr, incaricato da Trump di indagare sull'ipotesi che il Russiagate (il presunto complotto sulle ingerenze russe nella campagna elettorale 2016) fosse stato "confezionato in Italia, dai servizi, sotto la guida del premier Matteo Renzi". L'articolo insiste su una cena tenuta in un ristorante romano che risulta dallo "schedule" di Barr ma finora non era mai stata citata da Conte. Che replica: "Non ne ero a conoscenza, ma immagino fosse dettata da cortesia istituzionale"

C’è una cena tra il segretario alla Giustizia dell’amministrazione Trump, William Barr, e l’ex direttore del Dis Gennaro Vecchione al centro di un articolo pubblicato martedì da Repubblica – a firma del corrispondente dagli Usa Paolo Mastrolilli – che ipotizza complicità indebite sul piano dell’intelligence tra l’ex premier Giuseppe Conte e la Casa Bianca guidata dal tycoon. Accuse che il leader M5S ha definito “infamità“, smentendole con un lungo post sui social. Basandosi su documenti del Dipartimento della giustizia, il quotidiano Gedi ripercorre la missione a Roma (nell’agosto 2019) di Barr, che era stato incaricato da Trump di indagare sull’ipotesi che il Russiagate (il presunto complotto sulle ingerenze russe nella campagna elettorale 2016) fosse stato “confezionato in Italia, dai servizi, sotto la guida del premier Matteo Renzi alleato di Hillary Clinton, e dagli agenti ostili dell’Fbi come il capo a Roma Michael Gaeta”. Secondo Repubblica, in questi casi “il protocollo vorrebbe che il segretario alla Giustizia contattasse il suo omologo per spiegare cosa cerca, e poi lasciargli gestire il caso. Barr invece scavalca tutti e ottiene l’incontro col capo dell’intelligence, autorizzato dal presidente del Consiglio”, che si tiene alle 17 del 15 agosto 2019 nella sede del Dis in piazza Dante 25.

Le accuse di Repubblica – Dallo “schedule” di Barr consultato da Repubblica emerge però che “alle 18.45 l’intero gruppo si dirige verso piazza delle Coppelle per una cena prevista di due ore” al ristorante Casa Coppelle. “Sono andati? Cosa si sono detti, davanti a un buon piatto e magari a un bicchiere di vino? Esiste una traccia almeno ufficiosa di questa conversazione informale? Conte sapeva che il vertice inusuale da lui autorizzato a piazza Dante si era allungato in una cena conviviale? È passato a salutare o era in vacanza?”, si chiede l’autore dell’articolo. Mettendo in relazione la cena con il celebre tweet con cui Trump diede l’endorsement, pochi giorni dopo, alla formazione del governo Conte II (chiamando l’ex premier “Giuseppi”). Accanto, un commento del vicedirettore Carlo Bonini accusa Conte di aver barattato “un vantaggio personale (l’endorsement politico a suo favore da parte di Trump) in cambio di un incongruo scambio di informazioni dall’alto dividendo politico. (…) Scoprire che l’uomo al vertice dei nostri servizi (Vecchione) interloquisse con l’autorità politica di un Paese alleato mettendosi a disposizione per attività di intelligence ostili verso un ex premier del nostro Paese (Renzi) (…) conferma l’uso politico borderline che dei nostri servizi Giuseppe Conte ha fatto nel tempo”, scrive Bonini.

La replica di Conte – Giudizi che l’ex premier definisce “palesemente denigratori“: “Le allusioni del quotidiano avrebbero trovato risposta immediata da parte mia se solo mi fossero state poste delle domande, alle quali come sempre non mi sarei sottratto”, scrive sui social. E spiega: “Non ho mai personalmente incontrato Bill Barr nel corso delle sue visite in Italia. Il fatto che dopo la riunione ufficiale del 15 agosto 2019 avvenuta nella sede della nostra intelligence, a Roma in piazza Dante, si sia tenuta una cena la sera stessa tra la delegazione americana e l’allora Direttore del Dis Vecchione è circostanza di cui non ero specificamente a conoscenza. Se però la cena si è tenuta in un noto ristorante nel centro storico di Roma immagino sia stata motivata da cortesia istituzionale, piuttosto che dalla necessità di avere uno scambio riservato di informazioni”, nota. E conferma – come si legge anche nel pezzo di Repubblica – “di avere riferito, a suo tempo, correttamente e doverosamente, tutte le informazioni in mio possesso riguardanti questa vicenda al Copasir, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica”.

“Il sig. Barr, all’epoca dei fatti, non era solo Attorney general ma anche Responsabile delle attività dell’Fbi che riguardano la sicurezza nazionale – spiega Conte – e fece pervenire la sua richiesta di informazioni non a me direttamente, ma tramite i nostri canali diplomatici ufficiali, in particolare attraverso il nostro ambasciatore negli Stati Uniti. La sua richiesta non ha avuto a oggetto una ipotesi di cooperazione giudiziaria per cui sarebbe stato improprio indirizzarla al nostro Ministro di giustizia”, precisa, in risposta alle accuse contenute nell’articolo. E rilancia: “Credo non sia mai successo nella storia del nostro Paese che a una richiesta di informativa degli Usa attinente al piano dell’intelligence, le nostre istituzioni abbiano risposto con un rifiuto preventivo di collaborare e, addirittura, di incontrare gli alti rappresentanti degli Stati Uniti. Chi ipotizza uno scenario del genere è in malafede o semplicemente non sa di cosa sta parlando“. L’endorsement di Trump, datato 27 agosto 2019, “non ha alcun collegamento con questa vicenda”, scrive Conte, “considerato che la richiesta di Barr risale al giugno precedente e che questa richiesta e i suoi contenuti non sono mai stato oggetto di scambi o confronti tra me e l’allora presidente Trump”.
Lo scambio di accuse con Renzi – Infine l’ex premier va al contrattacco: “Bonini nel suo pezzo afferma che mi sarei prestato ad attività ostili nei confronti di Renzi. E, infatti, puntualmente Renzi e alcuni suoi solerti compagni di partito si sono immediatamente avventati sul “clamoroso scoop” di Repubblica per rilanciare quei medesimi sospetti che, a suo tempo, furono invocati per giustificare il ritiro del sostegno al governo Conte II”, affonda. “Mi chiedo: è possibile che il senatore Renzi non abbia mai sentito il dovere, in tutto questo tempo, di andare a riferire al Copasir su questi suoi sospetti? Perché non va, come sempre ho fatto io, a riferire quel che sa? Cosa teme, di dover poi rispondere alle domande dei componenti del Copasir e di essere obbligato, per legge, a riferire tutta la verità?”. Un guanto di sfida a cui il leader di Italia Viva replica con un video su Facebook: “Il problema non è se io vado o no al Copasir, io vado volentieri dappertutto a rispondere a tutti e a tutte”, dice, “Il Copasir non è il luogo nel quale uno lancia dei sospetti ma è l’organo che controlla l’attività dei servizi. Io su di te non ho sospetti, io su di te ho delle certezze: non ti sei comportato bene, perché un presidente del Consiglio non si comporta così con un Paese straniero”, attacca. E scrive di essere “pronto a un confronto tv all’americana, se ha il coraggio di farlo”.