Politica

La privatizzazione in sanità va avanti, nonostante il Covid. L’ultimo caso riguarda la Lamorgese

Vorrei partire da una contraddizione grossa non come una casa ma come il mondo. La pandemia con 150.000 morti, ha dimostrato senza ombra di dubbio la necessità per il nostro paese di avere più sanità pubblica cioè più diritti alla salute, non meno. Ciò nonostante la nostra sanità: sta diventando sempre meno pubblica; i diritti delle persone con i fondi sanitari le mutue il welfare aziendale, sono stati praticamente delegati al mercato; è sempre più discriminata cioè nel paese vi è chi ha più tutele, chi ne ha a mala pena mezza.

Insomma il diritto alla salute (art 32) non è più un diritto fondamentale.

L’ultimo sfregio al diritto alla salute è stato fatto dalla ministra dell’Interno, Lamorgese, che per 17.000 dipendenti del suo ministero ha stipulato una convenzione con il gruppo privato San Donato che si è impegnato a fornire loro – per conto del SSN – una vera e propria sanità sostitutiva ma con il 15% di sconto. Quindi lo Stato, in cambio di uno sconto, fa una convenzione con il privato contro se stesso.

I dati che ci vengono dall’anagrafe sui fondi sanitari (2° Report System sull’Anagrafe dei fondi sanitari) dicono che:
– i fondi sono in crescita;
– il giro d’affari va oltre i 3 mld, di cui 925 milioni di euro per attività integrative al SSN, a favore di più di 14 milioni di iscritti;
– i fondi sanitari esclusivamente integrativi rispetto al SSN hanno dichiarato di aver erogato, nell’anno 2019, prestazioni per un totale di più di 2 milioni di euro a favore di circa 38mila iscritti.

Questi dati denotano che, nonostante la pandemia, la privatizzazione della sanità non si sia fermata ma che, al contrario, riceva addirittura nuovi impulsi dal Pnrr e marci per ribaltare la situazione: sostituire nel tempo il sistema pubblico con un sistema privato.

Tutto questo non viene fuori per caso ma è il risultato inevitabile delle politiche fatte dalla sinistra di governo che, a partire dalla Bindi ministro della Salute nel 1999, ha assurdamente ritenuto che in sanità il neo-liberalismo fosse compatibile con l’art 32 della Costituzione. A partire dalla riforma Bindi, infatti, la sinistra di governo non solo ha tradito gli ideali di giustizia della sinistra originaria ma – quel che è peggio – ha tradito in nome del mercato i cittadini, in particolare quelli socialmente più deboli, quelli cioè che, solo grazie ed esclusivamente ai diritti, possono sperare di essere curati come gli altri.

I dati sui fondi integrativi (a partire dalla contro-riforma della Bindi) hanno dimostrato che a guadagnarci sono state le categorie sociali più forti. Cosa che con la sinistra al potere, quella che difende i più deboli, non dovrebbe avere niente a che fare; a meno di supporre, come molti fanno, che la vecchia Democrazia cristiana e il Pd siano equivalenti.

Se i diritti sono fondamentali, allora questi non possono essere né “svenduti” né “venduti” al mercato: nel momento in cui ciò avviene, come è avvenuto nel ’99 (art. 9), i diritti stessi muoiono. Dopo la morte di 150.000 persone per Covid, bisognerebbe cancellare l’orrore delle contro-riforme fatte dalla sinistra e fare una battaglia di civiltà per ricostruire l’art. 32 della Costituzione.

Oggi Articolo 1 (rappresentato dal ministro Speranza) e il Pd ormai sulla sanità sono del tutto indistinguibili. Trovo sconcertante che due partiti di sinistra siano alla mercé di scelte politiche sbagliate che, nonostante siano risultate alla prova dei fatti manifestamente sbagliate, non intendono correggere. Roberto Speranza sprofonda sempre di più nella retorica sul valore irrinunciabile della sanità pubblica ma nei fatti non ha mosso un dito né per smarcarsi dal regionalismo differenziato di Bonaccini, né per sbarrare la strada al processo di privatizzazione in corso che piano piano si sta letteralmente mangiando la sanità pubblica. Il suo Pnrr è una gigantesca autoassoluzione delle politiche neoliberali fatte dal Pd al tempo della Bindi ma nello stesso tempo è una apertura al privato, al terzo settore.

Il M5S su questi temi, pur avendo in Parlamento un importante peso e un sottosegretario alla Sanità nel governo piuttosto televisivo, l’onorevole Pierpaolo Sileri, tiene bordone e si gira vergognosamente dall’altra parte, lasciando fare come ha fatto Giulia Grillo, ex ministra della Salute, colei che da una parte parlava di “cambiamento” e dall’altra inneggiava alla gestione dell’ordinario.

Siccome all’impudenza, Rosy Bindi ha pensato bene di fondare una associazione di cui è presidente onorario che si chiama “Salute. Diritto fondamentale” (sic!) e tra i cui fondatori vi sono tutti gli esponenti di punta di quel pensiero di sinistra che, al servizio del mercato e non dei più deboli, non ha esitato a far fuori l’art 32. Se si vuole che il diritto alla salute resti un diritto fondamentale non possiamo non piazza pulita del neoliberismo pernicioso di Articolo 1, Pd, M5S.

Io, soprattutto dopo tanti morti e tante disgrazie, rivorrei indietro quell’articolo.