Media & Regime

F@ck this job, Vera Krichevskaja e la lotta contro la censura di Putin: questo è vero giornalismo

Quando la proiezione finisce e la sala si fa buia, il silenzio si fa di piombo e nessuno osa muoversi. Ci vorrà qualche secondo per far esplodere un applauso interrotto solo dalla capigliatura rossa di Vera che lentamente si avvia al centro del palcoscenico. Vera è Vera Krichevskaja, nata a San Pietroburgo nel 1974, che al Pordenone Docs Fest ha presentato il documentario F@ck this job, racconto del viaggio paradiso–inferno (al momento senza ritorno) dell’emittente televisiva Dozhd, chiusa dal regime di Putin quattro giorni dopo l’inizio dell’aggressione all’Ucraina.

Un sogno, una bolla, una scommessa che la documentarista, che oggi vive a Londra per portare avanti la sua battaglia per la verità contro il regime del Cremlino, ha messo in campo nel 2008 assieme a Natasha Sindeeva, l’imprenditrice che su Dozhd (“Pioggia”, nda) ha investito tutto – soldi, vita e famiglia – in nome di un ottimismo rosa come il colore scelto per l’emittente e che il 3 marzo ha cessato di esistere, dopo che la Procura generale di Mosca aveva chiesto la chiusura del sito che la mandava in onda negli ultimi giorni.

Incontro Vera nella hall dell’hotel che ci ospita entrambe. E’ più piccola di come la immaginavo dalle foto che avevo visto di lei. Ma basta che cominci a parlare per rendermi conto della potenza di una donna che si dice pessimista e battagliera ma che di fronte all’ultimo intervento in sala riesce con difficoltà a trattenere l’emozione. “Condoglianze”, le dice la donna ucraina che chiude la serie di domande dal pubblico, “Condoglianze perché Putin sta rendendo voi un popolo di colpevoli mentre siete vittime come noi, abitanti di un paese in cui il regime russo sta facendo scorrere il nostro sangue”.

F@ck this job – oggi visibile su http://www.fckthisjob.net/- è uno di quei documentari che andrebbero visti nelle scuole. Oggi, adesso. E non solo per il messaggio contro il regime, ma anche per far capire che cosa significa fare i giornalisti e non solo esserlo; che cosa significa quando un progetto va avanti a dispetto di tutto e contro la censura cerca comunque di sopravvivere e che cosa possono fare due donne quando – una fredda e lucida e l’altra passionale e sognatrice – danno corpo a un’idea che dagli intenti iniziali di racconto divertente e spassionato di un modo diverso di fare tv, si ritrova a essere baluardo dell’antagonismo al pensiero dominante: “Siamo i prescelti”, diranno i giornalisti di Dozhd quando in uno degli ennesimi alti e bassi si troveranno a fare la scelta più dura. Andare avanti e rischiare, oppure chiudere e dire addio al sogno. La verità, anticipata da quel 77,2% di sì alle votazioni sugli emendamenti alla Costituzione russa, è apparsa in tutta la sua brutalità quanto il 22 febbraio del 2022 Putin parlando alla Nazione ha detto che l’Ucraina non esisteva.

Questo lavoro come una missione? Scuote la testa Vera, e dice che il suo documentario racconta quello che nessuno adesso può far sapere: come si sia arrivati fino qui e soprattutto che non tutti i russi sono come Putin. Al termine della proiezione, anche in sala si ha la certezza che un’altra verità è possibile. E sarà proprio la donna ucraina che ha posto la più dolorosa delle riflessioni la prima a far scattare l’applauso dopo le ultime parole di Vera: “Parlo ogni giorno in pubblico e ogni giorno ripeto che sebbene la maggioranza dei russi sia favorevole a Putin, è la minoranza, sono i giovani, la leva su cui contare per poter abbattere il regime. E a voi, ucraini, dico che tornerete a essere un grande Paese e che presto, tra l’orgoglio di tutti, entrerete a far parte della grande famiglia europea”.