Economia

Guerra Russia-Ucraina, l’Ue non trova l’accordo sulle sanzioni sul petrolio (Berlino frena). Cremlino: “Embargo colpirebbe tutti”

Il nuovo pacchetto che arriverà al vertice dei capi di Stato e di governo del 24 marzo è ancora privo di una delle sue armi più potenti. L’unità europea si è infranta sulla prudenza tedesca. Alcuni Paesi, come Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia e Irlanda, si sono detti invece a favore. Gli Usa hanno già fermato l'import, ma la quantità che acquistavano da Mosca era molto limitata. Intanto l'Arabia Saudita fa sapere che gli attacchi degli Houthi ai suoi serbatoi potrebbero ridurre le forniture

Con l’escalation dell’offensiva russa in Ucraina, l’Unione europea è decisa a colpire ancora l’economia di Mosca per tagliare i fondi alla guerra di Vladimir Putin. Ma il nuovo pacchetto di sanzioni che arriverà al vertice dei capi di Stato e di governo del 24 marzo è ancora privo di una delle sue armi più potenti: l’embargo sul petrolio russo. Il Consiglio Esteri non è riuscito a trovare un accordo, diviso tra i falchi che vogliono colpire di più e i Paesi più energicamente dipendenti dai combustili russi, con in testa la Germania. La questione sarà affrontata dai leader ma sembra esclusa l’adozione formale delle nuove misure. Il Cremlino intanto ha già fatto sapere la sua: “Una simile decisione peggiorerà l’equilibrio energetico dell’Europa e colpirà tutti“.

L’unità europea si è infranta – al momento – sulle nuove sanzioni contro Mosca, con Paesi come la Lituania, la Repubblica Ceca e la Slovacchia che premono per il blocco del petrolio russo. Vilnius, tra le più determinate, ritiene ormai “inevitabili” le sanzioni al settore energetico, “in particolare quello petrolifero, che può essere facilmente rimpiazzato”, e non esclude misure anche contro la Cina se dovesse aiutare militarmente la Russia. La più prudente è la Germania che teme le ripercussioni energetiche: “Se potessimo fermare le importazioni di petrolio dalla Russia lo faremmo automaticamente”, ha detto la ministra Annalena Baerbock a Bruxelles. “Non è una questione se lo vogliamo o no, ma quanto siamo dipendenti“, ha spiegato, invitando a “capire come possiamo ridurre questa dipendenza”. L’Italia, dal canto suo, è “aperta” all’ipotesi di un “quinto pacchetto di sanzioni” alla Russia, “non pone veti” ma “aspetta la proposta della Commissione”, ha riferito il titolare della Farnesina Luigi Di Maio, sottolineando che il governo italiano sta già lavorando ad alternative energetiche con altri Paesi per evitare “ricatti”.

Le posizioni dei Paesi Ue – Alcuni Paesi, tra cui anche l’Irlanda, si sono detti a favore di uno stop almeno all’import di petrolio. “Guardando a quanto è estesa la distruzione in Ucraina è molto difficile sostenere che non dobbiamo intervenire anche sul settore energetico, in particolare petrolio e carbone”, ha detto il ministro irlandese Simon Coveney arrivando al meeting. Il lituano Gabrielius Landsbergis dal canto suo ha ammonito che c’è in ballo la credibilità dell’Occidente e occorre imporre sanzioni sul greggio, “la maggiore fonte di introiti per il bilancio russo”. L’agenzia, Berlino continua però a fare resistenza e avverte sui rischi dell’agire troppo rapidamente in un momento in cui i prezzi energetici in Europa sono già altissimi.

Mosca: “Gli americani staranno meglio degli europei” – Gli europei “avranno un momento difficile”, ha ammonito il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, se la decisione di imporre un embargo sulla fornitura di petrolio russo verrà adottata seguendo l’esempio degli Usa che l’hanno presa già all’inizio di marzo. Washington è assai facilitata dal fatto che il suo import di petrolio russo era già molto limitato e grazie al fracking è ormai da anni esportatore di gas naturale liquefatto. “Gli americani staranno molto meglio degli europei. Gli europei avranno un momento difficile. Probabilmente, questa è una decisione che colpirà tutti”, ha chiosato Peskov. “Un tale embargo avrà un impatto, e influenzerà molto seriamente il mercato globale del petrolio in generale”.

Ryad non intende compensare le carenze – L’Arabia Saudita, in questo quadro complicatissimo, non intende evidentemente fare da fornitore di ultima istanza. Anzi Ryad ha precisato che “non si assumerà alcuna responsabilità per la carenza di forniture di petrolio ai mercati globali” dopo gli attacchi di domenica da parte degli Houthi dello Yemen, sostenuti dall’Iran, che hanno colpito la produzione del regno. L’annuncio arriva mentre l’Opec+, che riunisce i membri Opec e altri dieci paesi esportatori non Opec guidati dalla Russia, si rifiuta di aumentare significativamente la produzione per alleggerire il mercato, attenendosi a un graduale aumento di 400.000 barili al giorno ogni mese. All’inizio di questo mese, l’Aie ha descritto le decisioni del cartello come “deludenti”, poiché i prezzi del greggio sono saliti vertiginosamente. “La comunità internazionale deve assumersi la sua responsabilità di mantenere le forniture energetiche” e “opporsi agli Houthi”, ha riferito il ministero degli Esteri citato dall’agenzia di stampa saudita statale. I ripetuti attacchi Houthi influenzeranno “la capacità di produzione del regno e la sua capacità di adempiere ai propri obblighi“, minacciando la “sicurezza e stabilità delle forniture di energia ai mercati globali”. Il ministero dell’Energia saudita ha fatto sapere che gli attacchi con droni e missili al complesso petrolchimico di Yanbu sulla costa del Mar Rosso hanno portato a un calo temporaneo della produzione. L’entità complessiva dei danni agli impianti è rimasta poco chiara.

Aumentano le forniture di gas russo – Gli ordini per le consegne di gas naturale russo in Europa attraverso il gasdotto Nord Stream secondo l’agenzia Bloomberg sono intanto in aumento e “dovrebbero avere una media di 61 GWh/h”. La cautela della Germania sulla possibilità di intervenire sulle materie prime energetiche sembra rendere complicato anche un accordo su un tetto europeo ai prezzi all’importazione, auspicato dai paesi del Sud Europa: il fronte dei Paesi del Nord – dai Paesi Bassi a Danimarca e Finlandia – teme che renderebbe poco attrattivo esportare gas anche dagli Usa e da altre parti del mondo, come ha spiegato il premier olandese Mark Rutte.