Mafie

I rapporti tra ‘ndrangheta e servizi, il gip dice no all’archiviazione sull’omicidio Mormile: “Riaprire indagini pure sulla Falange Armata”

La procura aveva chiesto l'archiviazione, ma il fratello della vittima, Stefano Mormile, si è opposto, assistito dall'avvocato Fabio Repici. Il giudice ha ordinato l'iscrizione sul registro degli indagati di due collaboratori di giustizia, Salvatore Pace e Vittorio Foschini. L'omicidio dell'educatore carcerario, l'11 aprile del 1990, è il primo delitto rivendicato dall'oscura sigla che poi comparira sullo sfondo delle stragi del 1992 e 1993

Riaprire le indagini sull’omicidio di Umberto Mormile, l’educatore del carcere milanese di Opera ucciso a Carpiano l’11 aprile del 1990. E’ quello che ha ordinato il gip del capoluogo lombardo, Natalia Imarisio. La procura aveva chiesto l’archiviazione, ma il fratello della vittima, Stefano Mormile, si è opposto, assistito dall’avvocato Fabio Repici. Il giudice ha ordinato l’iscrizione sul registro degli indagati di due collaboratori di giustizia, Salvatore Pace e Vittorio Foschini. Una iscrizione “necessaria e preliminare a qualunque altro sviluppo”, scrive il giudice nel suo provvedimento di tre pagine. Il giudice ha inoltre ordinato di acquisire dalla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria sul processo ‘Ndrangheta stragista. E’ il procedimento che ha visto condannare in primo grado il boss di Cosa nostra Giuseppe Graviano, per l’omicidio di due carabinieri in Calabria.

Durante il dibattimento, però, sono emerse anche alcune novità sulla Falange Armata, l’oscura sigla del terrore che ha rivendicato tutte le stragi di mafia del 1992 e 1993. Ma che era nata prima nel nord Italia. L’esordio della Falange Armata, infatti, avviene proprio per rivendicare l’omicidio Mormile, anche se all’epoca la voce che chiama all’Ansa di Bologna si firma come “Falange Armata Carceraria“. In seguito quell’oscura sigla sarà utilizzata per rivendicare i vari delitti compiuti dalla Banda della Uno Bianca in Emilia Romagna e infine comparirà in Sicilia, a Enna, dove nell’inverno del 1991 Totò Riina raduna i suoi generali per pianificare le stragi della primavera successiva. Il capo dei capi ordina ai suoi di rivendicare gli omicidi con quell’oscura sigla, Falange Armata: e in effetti sarà così che saranno firmate le eliminazioni di Salvo Lima, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma chi è che la suggerisce a Riina? Al momento non è dato sapere.

Saranno, magari, le nuove indagini sull’omicidio Mormile a rivelarlo. Sull’omicidio dell’educatore carcerario sono state emesse due sentenze, entrambe definitive. Oltre a quella sugli esecutori materiali Antonio Schettini e Antonino Cuzzola – entrambi collaboratori di giustizia, seppur con condotte differenti – quella sui mandanti, indicati nei fratelli Antonio e Domenico Papalia, boss della ‘ndrangheta molto potenti nell’hinterland di Milano. Nella denuncia presentata in procura nel 2018 dall’avvocato Repici, Schettini viene indicato “protagonista di un depistaggio”. Dopo aver portato a processo Antonio Papalia, scelse il giudizio abbreviato, mentre nel processo ordinario si avvalse della facoltà di non rispondere. Cuzzola, invece, legò il movente dell’esecuzione “alla volontà di Domenico Papalia di sopprimere colui che nel penitenziario di Parma era stato testimone di propri incontri abusivi con i servizi segreti”. In effetti già nel 2006 la procura di Reggio Calabria aveva ricostruito le relazioni tra Domenico Papalia e appartenenti ai servizi segreti.

E’ nel processo ‘Ndrangheta stragista, invece, che il pentito Foschini ha dato una versione di quello che potrebbe essere il vero movente dell’omicidio Mormile: “Fu ucciso per l’allusione sui rapporti Servizi-Papalia. Papalia disse che Mormile andava ucciso, precisò che bisognava parlare con i servizi visto che non si doveva sospettare di loro (cioè dei Papalia). Ne seguì che Antonio Papalia, come ci disse, parlò con i servizi che, dando il nulla osta all’omicidio Mormile, si raccomandarono di rivendicarlo con una sigla terroristica che loro stessi indicarono”. Quella sigla era appunto la Falange Armata.

La riapertura delle indagini è una vittoria per Stefano Mormile e l’avvocato Repici che dal 2018 chiedevano di indagare “su un possibile coinvolgimento di uomini dei servizi segreti come mandanti dell’omicidio dell’educatore carcerario”. Allo stato, secondo il giudice, non sono emersi “concreti elementi tali da lumeggiare l’ipotesi ed ulteriormente direzionare le indagini stesse”. “Con la decisione del gip si prospetta finalmente un nuovo processo sull’omicidio Mormile: con questa decisione possiamo spazzare via il fango per decenni gettato sulla figura di Umberto Mormile così’ che anche a Milano, come già avvenuto a Reggio Calabria, si potrà arrivare alla conclusione che Mormile è stato ucciso perchè aveva scoperto i legami occulti di Domenico Papalia con apparati deviati dello Stato”, spiega all’agenzia Agi l’avvocato Repici, legale del fratello della vittima.