Mondo

Vivere senza mentire: note di sabbia dal Sahel

Nel Sahel come altrove nel mondo sono pochi coloro che si avventurano nella verità. Cenere, vento, polvere e sabbia sono un esempio difficilmente contestabile. La polvere e la sabbia, da cui essa scaturisce, rappresentano un costante richiamo, per così dire una testimonianza, che la verità è possibile. Gli elementi citati, nei fatti, dicono e provano la loro identità, senza ipocrisia o spettacolo, agli spettatori del naufragio nel quale sembra incamminata una parte dell’umanità.

La menzogna infatti, secondo una definizione comune, appare come una ‘alterazione o falsificazione visibile della verità, perseguita con piena consapevolezza e determinazione’. Si tratta, in altri termini, di un travestimento, un occultamento della realtà che, tramite la menzogna, è prima confiscata e poi presentata come versione ‘ufficiale e unica’.

“La violenza trova il suo solo rifugio nella menzogna e la menzogna il suo solo sostegno nella violenza. Chiunque abbia scelto la violenza come mezzo dovrà inesorabilmente scegliere la menzogna come regola”. Lo affermò lo scrittore russo Aleksandr Solgenitsin, durante la cerimonia di premiazione del premio Nobel per la letteratura che gli fu conferito nel 1970. Si tratta di parole scolpite nella sabbia del Sahel e nei marmi levigati dell’Occidente, col valore di attualità. Il binomio violenza e menzogna, oppure per rivolgimento, menzogna e violenza, è alla base di quanto costituisce l’arte della guerra nel quotidiano e a scala più grande. La Grande Menzogna fontale è quella che tocca le relazioni umane perché in esse si innesta la biografia personale di ognuno. Ciò accade quando l’altro o l’altra sono trasformati in oggetto.

Per un capitalismo senza barriere le persone sono clienti e consumatori per far funzionare il sistema. Per i politici si tratterà di sudditi da amministrare, distrarre o reprimere quando necessario. Per i leader religiosi o affiliati, non sono che fedeli da guidare nella sottomissione ai dogmi divinamente rivelati. Per gli intellettuali si tratta di sbarcare il lunario profittando della munificenza dei magnati che governano il mondo delle idee. Per i capi militari solo carne da cannone. Per la gente comune, infine, il primo e ineludibile compito è quello della sopravvivenza e, per conseguirla, si potranno manipolare fatti, persone e avvenimenti. La menzogna che fonda questo tipo di relazioni, per affermarsi e perpetuarsi, non può che condurre alla violenza e, quest’ultima, sarà pronta a difendere la menzogna anche con la guerra.

L’arma più letale, quella di distruzione di massa, lo sappiamo, è la parola. Quanto appena evidenziato trova nell’abuso della parola, che solo nella verità creativa realizza la sua vocazione, lo strumento principale di attuazione. La falsità dell’economia basata sullo sfruttamento della parola. Della politica come vendita di parole a buon mercato. Del fatto religioso come controllo sociale organizzato da parole come comandamenti. Dell’élite intellettuale come prostituzione delle parole al potere dominante. Le parole come mercanzia sono ciò che conduce alla quotidiana violenza di cui le armi non sono che la parte più visibile e non sempre la più mortale. Ecco perché c’è da imparare da loro, la polvere di sabbia e di vento che hanno il sapore antico dell’autenticità. La parola si è fatta sabbia e si è messa ad abitare la polvere, in verità.

“Ed è là che, messa da parte ma semplice e accessibile, si trova la chiave della nostra liberazione: il rifiuto di partecipare direttamente alla menzogna. Non importa se la menzogna ricopre tutto, se diventa il maestro di tutto… Siamo intrattabili almeno su questo punto: che lei non lo diventi per me!… Perché quando si girano le spalle alla menzogna, la menzogna cessa semplicemente di esistere”. (A.Solgenitsin, 1990)