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Ucraina, con la guerra arriva la prima vera crisi internazionale della maternità surrogata

Mentre Putin, secondo la rivista Mirror, alla vigilia dell’invasione dell’Ucraina trasferiva la sua famiglia in un bunker antiatomico di lusso in Siberia, nelle stesse ore le immagini di un ben più modesto bunker di Kiev venivano diffuse dal sito del colosso della maternità surrogata Biotexcom. “Bunker per neonati” recitava il claim del video, cercando di rassicurare i tanti genitori committenti della sicurezza del rifugio dotato di tutto ciò che occorre: maschere antigas, cibo, vestiti, coperte, culle, kit di primo soccorso e altro ancora. È questo un altro effetto drammatico della guerra in Ucraina di cui nessuno parla.

Ci sono almeno 33 cliniche per la fertilità private e cinque gestite dal governo che operano in Ucraina. A pochi giorni dall’inizio della guerra, centinaia di genitori committenti con i loro avvocati si stanno muovendo per difendere i propri interessi e gestire la prima vera crisi internazionale della maternità surrogata. Cambi di legge in paesi come India e Cambogia, che dal 2015 hanno bandito la surrogata a coppie straniere, poi le restrizioni ai viaggi per la pandemia hanno creato sconvolgimenti, ma una situazione di criticità di questa portata è, per ovvie ragioni anche di tipo legale, cosa inedita e di gran lunga più grave e complicata.

Ci sono coppie dall’Australia e dall’Irlanda, ma anche italiane, bloccate in Ucraina. Altre con figli già nati ma che non possono raggiungere i loro genitori committenti. “Se tuo figlio si trovasse in un edificio che ha preso fuoco, non correresti dentro per salvare la tua carne e il tuo sangue?”, chiede Glenn McGill (pseudonimo) all’intervistatore del quotidiano di global economy Quartz, un australiano che insieme alla moglie ha assunto una madre surrogata in Ucraina, ora incinta di 36 settimane e che dovrebbe partorire a marzo. I signori McGill avevano persino prenotato un volo per Kiev per stare con lei al momento del parto. Ora sono bloccati in Australia ma in contatto tramite un’app che traduce i messaggi dall’inglese all’ucraino.

La scorsa settimana, secondo quanto riportato dal Times, una madre surrogata incinta in Ucraina ha chiamato un avvocato con una strana richiesta: se fosse scoppiata la guerra, i genitori biologici del bambino che portava in grembo avrebbero potuto costringerla a lasciare il paese? Lei non avrebbe abbandonato i suoi stessi figli, questo era sicuro! Ma l’esercito russo era al confine ucraino e la coppia committente voleva che lei andasse nella vicina Georgia per il resto della gravidanza, in modo da poterla raggiungere senza problemi.

Su Fab, pagina Facebook della rivista italiana F, due giorni fa è stato postato un appello accorato: “L’ambasciata italiana non ci risponde più, siamo bloccati e isolati nel quartiere di Sofia, qui c’è la legge marziale, potrebbero persino bombardare. Siamo disperati, abbiamo paura, io non faccio che piangere” è la supplica di una donna italiana bloccata a Kiev. In questi giorni sono decine le coppie italiane che non riescono a lasciare l’Ucraina a causa della mancanza di un nulla osta da parte dell’ambasciata italiana. “Nessuno ci dà indicazioni. Siamo andati in ambasciata per avere il foglio di via per nostro figlio ma ci hanno detto che i documenti non erano in ordine”.

Quando si parla di maternità surrogata si pensa subito a un catalogo dove si sceglie un figlio con la stessa procedura di un ordinativo fatto a un’azienda che venda prodotti on-line. E, cosa assolutamente nuova, con i propri tempi e l’orgogliosa presunzione della propria potenza e ribellione contro l’ordine costituito, sia divino che naturale. È anche vero, tuttavia, che dietro tutte queste storie di maternità surrogata c’è tanta sofferenza. Ci sono anni di cure per avere un figlio non andate a buon fine. Ma ci sono anche storie, fortunatamente pochissime, come quella della coppia di Novara, che dopo aver avuto una bambina con maternità surrogata proprio in Ucraina, l’hanno poi rifiutata dando l’assenso all’adozione.

Il sociologo Zygmunt Bauman ha detto: i figli oggi “sono prima di ogni altra cosa, e più di ogni altra cosa, oggetti di consumo emotivo”. Gli oggetti di consumo soddisfano i bisogni, desideri o capricci del consumatore e altrettanto fanno i figli. I figli sono desiderati per la gioia dei piaceri genitoriali che si spera arrecheranno, il tipo di gioie che nessun altro oggetto, per quanto ingegnoso o sofisticato, può offrire.