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Ucraina, il Vaticano sa di dover stare lontano dai toni esaltati dei media occidentali

“Con il fiato sospeso”, titolava giorni fa l’Osservatore Romano. E con il fiato sospeso papa Francesco segue giorno per giorno l’evolversi della situazione in Ucraina. “E’ triste quando popoli che si dicono fieri di essere cristiani vedono gli altri come nemici e pensano a farsi guerra”, ha esclamato domenica all’Angelus.

E’ da dicembre che il pontefice invita sistematicamente a risolvere lo scontro russo-americano attraverso un “serio dialogo internazionale e non con le armi”. Il 26 gennaio ha voluto che si tenesse una giornata di preghiera per la pace in Ucraina, ricordando le vittime (cinque milioni di morti) e le sofferenze subite dal paese durante la seconda guerra mondiale.

La settimana scorsa la comunità di Sant’Egidio ha organizzato a Roma una manifestazione. Un primo segnale per testimoniare che il mondo cattolico non intende lasciarsi trascinare in un conflitto che gli analisti con i nervi più saldi – e non prevenuti da propaganda di parte – ritengono risolvibile. Hanno aderito 50 associazioni, tra cui Focolarini, Centro Astalli, Emergency, Giovannni XXIII, Tavola della Pace, Caritas, Acli, Azione cattolica, Scout, Misericordie, Auxilium. Focsiv, ma anche gruppi evangelici, ebraici, musulmani, ortodosso, buddista. Presenti esponenti di Pd, Iv, Si, Fi, Demos e il ministro Andrea Orlando. “Il nostro – ha dichiarato Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio – è un rifiuto radicale dell’utilizzo, in qualunque forma, dello strumento militare per risolvere contenziosi… Senza ingenuità sappiamo che forze immense, interessi potenti e agende nascoste si stanno confrontando senza risparmiarsi…”.

Ciò che inquieta il Vaticano è il moltiplicarsi sui media e negli ambienti politico-istituzionali di un clima di scontro in cui gli altri sono incessantemente dipinti come il grande Nemico. Si torna a slogan e immagini – l’Orso russo, la Tigre cinese – che trasmettono inquietudine e ostilità e archiviano il pensare agli interessi geopolitici complessivi nella loro concretezza. Si attribuisce all’avversario la voglia spudorata di “zone di sicurezza” come se nel proprio campo non vigesse la stessa regola non scritta.

Correva il detto, durante la guerra fredda, che dalla cupola di San Pietro si ha una vista maggiore. Il Vaticano è un ottimo punto di osservazione. Ed è un archivio di memorie. Esattamente sessant’anni fa gli Stati Uniti ponevano il blocco a Cuba perché non tolleravano che i sovietici piazzassero missili nucleari a pochi chilometri dalle coste americane. Non si facevano discussioni astratte sul fatto che Cuba potesse allearsi con chi volesse. Era in pericolo – sosteneva Washington – la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, secondo la dottrina dei presidenti Monroe e Theodore Roosevelt del “cortile di casa” caraibico e centro-americano in cui non sono tollerabili presenze militari straniere (teoria assai simile all’insofferenza di Putin per un’Ucraina inserita in un blocco militare anti-russo).

In Vaticano ricordano molto bene come fu risolto il confronto muscolare tra Washington e Mosca, che rischiava di portare alla terza guerra mondiale. Anche perché la soluzione avvenne grazie ad un appello di mediazione di Giovanni XXIII. Si passò dalle minacce e dalla propaganda al negoziato concreto, tenendo conto degli interessi delle due parti: niente missili nucleari sovietici a Cuba e ritiro dei missili statunitensi IRBM da Turchia, Italia e Gran Bretagna.

In Vaticano non si è persa memoria di ciò che tutti i diplomatici occidentali e orientali sanno. Esisteva davvero tra Bush senior e Gorbaciov l’impegno verbale a non spostare verso est il patto militare Nato dopo il crollo del Muro di Berlino e la dissoluzione del Patto di Varsavia. Non vale nulla? Può essere, ma resta da spiegare perché un blocco militare come la Nato – sorto per contrastare il pericolo rappresentato dall’Urss e dai suoi satelliti – abbia sentito il bisogno di estendersi nello spazio dell’Europa orientale nel 1999 e poi nel 2004 con una seconda avanzata, nel momento in cui la Russia era debole e non rappresentava alcuna minaccia.

Gli archivi sono impersonali. Registrano tutto da tutte le parti. Registrano l’annessione russa della Crimea nel 2014, in violazione del trattato di Helsinki sulla sicurezza europea e l’inviolabilità delle frontiere. Registrano l’attacco Nato alla Serbia e il bombardamento di Belgrado nel 1999 per sostenere la secessione del Kosovo, azione non avallata dalle Nazioni Unite e in violazione del trattato di Helsinki.

Il Vaticano è consapevole di doversi muovere con estrema attenzione. E’ importante che papa Francesco mantenga la capacità di parlare super partes. Tuttavia lo stile di Oltretevere, abituato a soppesare la complessità delle situazioni, non è per niente in sintonia con i toni sovraeccitati da Dottor Stranamore che dilaga nei mass media, con un ritorno a esaltati accenti da crociata. Non c’è nessuna simpatia per l’autocrazia moscovita, nessuna simpatia per quella che Avvenire definisce la tracotanza e l’aggressività russa. Ma allo stesso tempo il giornale dei vescovi italiani riflette gli umori vaticani, quando denuncia l’inutile e controproducente ”atteggiamento marcatamente anti-russo di Washington e vertice Nato”, unitamente alla tendenza “ossessivamente russofoba” (benché storicamente motivata) dei paesi est-europei. Così peraltro l’Occidente (reduce da vent’anni di disastrose spedizioni in Afghanistan e in Iraq per esportare, si diceva, la democrazia o la propria sfera di influenza) non fa che spingere maggiormente Putin tra le braccia di Pechino.

Resta il fatto che si considera improvvido ogni discorso di inclusione dell’Ucraina nella Nato. Essere uno stato neutrale, si fa discretamente notare, non è disdicevole. Non è un caso che il cardinale Bassetti e la presidenza della Conferenza episcopale italiana, sensibili alle preoccupazioni di papa Francesco, abbiano lanciato un monito molto preciso. “E’ responsabilità di tutti, a cominciare dalle sedi politiche nazionali e internazionali, non solo scongiurare il ricorso alle armi, ma anche evitare ogni discorso di odio, ogni riferimento alla violenza, ogni forma di nazionalismo che porti al conflitto”.