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Ucraina, l’esito ‘pacifico’ è inevitabile per almeno due ragioni

di Claudio Amicantonio

La crisi ucraina preoccupa i governi e i popoli del pianeta. L’Europa in particolare è attraversata da tensioni politiche e diplomatiche in vista di una possibile accelerazione della situazione nella direzione dello scontro militare.

Il quadro locale è decisamente preoccupante poiché la recente mobilitazione russa di un enorme potenziale bellico lungo i confini ucraini si sovrappone alle già instabili situazioni della Crimea e del Donbass che si trascinano da quasi un decennio. Il quadro internazionale, a propria volta, non lascerebbe presagire nulla di buono con la Russia che non può accettare un’eventuale futura adesione dell’Ucraina alla Nato e gli Usa che a loro volta non possono permettersi, soprattutto dopo le debolezze mostrate in Iraq e in Afghanistan, di cedere di fronte alle pressioni militari di Mosca.

Ulteriori complicazioni sulla strada verso una possibile soluzione, in cui nessuno sia costretto a riconoscere la propria sconfitta, sono rappresentate dalla Cina, che potrebbe approfittare della debolezza americana per risolvere a propria volta manu militari la pratica Taiwan, e dalla stessa Europa che oscilla al proprio interno tra posizioni nettamente atlantiste e posizioni più aperturiste nei confronti del Cremlino.

Tuttavia, nonostante le numerose divergenze tra le forze in campo la questione ucraina è destinata a risolversi “pacificamente”, senza nessun particolare utilizzo significativo della forza militare. L’unica eccezione possibile, all’interno di una soluzione pacifica, è rappresentata dall’accentuarsi degli scontri armati nella guerra già in corso nel Donbass, che però ha scarsa importanza sul piano generale.

Due sono le ragioni che stanno alla base di un inevitabile esito “pacifico” della crisi.

Anzitutto, così come durante l’intera Guerra fredda, ancora oggi Stati Uniti e Russia sono gli unici due stati al mondo in possesso di una potenza nucleare equiparabile con nessun altro, comprese le potenze economiche emergenti. A Washington come a Mosca sono consapevoli che qualunque prova muscolare non potrà mai essere portata oltre il limite che comporterebbe uno scontro militare diretto, pena la reciproca autodistruzione e la perdita di quel vantaggio incommensurabile che pone entrambe ad una distanza infinita da qualunque altro stato sul pianeta.

In secondo luogo, a differenza della pax nucleare durante la Guerra fredda novecentesca, caratterizzata da un forte scontro ideologico tra capitalismo da un lato e comunismo dall’altro, ormai siamo anche in una situazione di pax economica in quanto tutte le forze in campo in questa crisi sono unificate dall’accettazione del capitalismo come unica forma di produzione della ricchezza e, proprio per questo, la tensione non verrà portata oltre il limite consentito dall’economia capitalistica che ha sempre come scopo ultimo l’incremento del profitto e della ricchezza e che non avrebbe nessun vantaggio, neanche economico, da una guerra nel bel mezzo dell’Europa.

Sarebbe un errore credere che la crisi ucraina rappresenti il redde rationem tra i sistemi democratici nordatlantici e la democratura autocratica russa, poiché per quanto estremamente differenti tra loro – con tutte le drammatiche conseguenze sul piano pratico e individuale – sono entrambe compatibili con il sistema economico capitalistico. In tal senso, non si può nemmeno escludere, sul medio e lungo periodo, il collasso autocratico di alcune democrazie occidentali o la democratizzazione della Russia, senza tuttavia abbandonare la cornice economicamente unificante del capitalismo.

Premesso tutto questo, ciò che risulta davvero incerto nella crisi ucraina, e di conseguenza degno della massima attenzione, è il futuro collocamento dell’Europa nello scacchiere delle alleanze internazionali. Le cancellerie europee sembrano oscillanti tra un rafforzamento della Nato da un lato, che però deve fare i conti con un progressivo disinteressamento da parte degli Stati Uniti, il cui unico obiettivo sembrerebbe essere evitare il rafforzamento di un asse eurorusso per loro estremamente svantaggioso, e un progressivo avvicinamento alla Russia dall’altro, che è un percorso estremamente incerto e pieno di incognite, non ultima – e adesso davvero decisiva – la questione delle libertà e della compatibilità democratica in relazione ad una alleanza strategica di lungo termine.