Società

Una società che alza di continuo l’asticella delle nostre aspirazioni difficilmente produrrà felicità

Per Stefano Bartolini, autore del recente Ecologia della Felicità, che insegna Economia della Felicità ed Economia Politica all’Università di Siena, questi due anni hanno rappresentato un’esperienza di massa unica: quella di avere tempo, un’occasione per riflettere su che cosa possa darci veramente felicità.

Bartolini che abbiamo incontrato durante la preparazione della Giornata della Lentezza 2022 (una giornata lunga un anno e più) cita alcune personalità che hanno lasciato il segno nella memoria collettiva, per Coco Chanel “le cose migliori della vita sono gratis. Le seconde cose migliori sono molto costose” mentre per Groucho Marx “ci sono cose nella vita più importanti del denaro, ma sono così care”, che segnalano come per molte persone il meglio corrisponda all’opulenza. Bartolini le cui opere sono spesso citate da Serge Latouche, si cimenta con quello che sentiamo ripetere sempre più ossessivamente di un mantra “abbiamo bisogno di crescere, di maggiore crescita” e analizza uno dei detti più in uso “il denaro non dà la felicità” utilizzando studi che affermano che oltre una certa soglia (abbastanza bassa, aggiungiamo noi) la felicità che abbiamo ottenuto raggiungendo una determinata quantità di denaro, non cresce al crescere del denaro ottenuto, provocando per molti una continua rincorsa a maggiori ricchezze, nella speranza di essere più felici.

Secondo Bronnie Ware, un’infermiera australiana che opera con cure palliative per i malati terminali e che ha ascoltato per anni le loro ultime parole e desideri riportandole in un libro intitolato “I 5 più grandi rimpianti dei morenti”, nei loro rimpianti non si trova nessun accenno al non aver fatto più sesso o a non avere provato a fare sport estremi, o al non aver accumulato più denaro ma il rimorso di non aver speso più tempo con la propria famiglia, coltivato le amicizie o cercato con più accortezza la via della felicità.

Da anni si è cercato di misurare la felicità, ciò avviene fondamentalmente in due modi: attraverso dati soggettivi e oggettivi. I primi provengono da inchieste in cui si chiede alle persone di valutare il proprio grado di felicità o di considerare che emozioni prevalgono nella propria vita: positive o negative. I dati oggettivi sono però più aggregabili e riguardano il consumo di psicofarmaci, di malattie mentali, suicidi e dipendenze.

Una società che materializza tutto e che propone modelli di consumo e di stili di vita sempre più performanti, che innalzano di volta in volta l’asticella delle nostre aspirazioni, difficilmente sarà in grado di produrre felicità, a questo proposito da più parti si è cercato di sostituire a livello di macroeconomia al PIL il FIL, la cosiddetta Felicità Interna Lorda, che ha uno dei suoi cardini nel modo in cui le persone riescono a gestire il proprio tempo. Qualche anno fa a Bruxelles, in un convegno, abbiamo incontrato Enrico Giovannini, ministro delle infrastrutture, del governo Draghi, anche lui favorevole a questo tipo di considerazioni e che ora potrebbe avere qualche strumento in più per applicare le sue vecchie idee, anche se ora sembra molto più convinto dal partito della Crescita.

Considerato che dalle analisi delle acque delle fogne milanesi, il consumo di cocaina e di sostanze affini risulta sempre più elevato sembra che l’attuale andamento della Società non produca certo felicità, così come l’enfasi ecologista sulle catastrofi produce invece rimozione, causando anche un enorme spreco di potenzialità di cambiamento.

Se è evidente che dovremo rinunciare a qualche cosa in futuro quello che Bartolini si sforza di farci capire è che il pessimismo non è giustificato, la decelerazione è già in atto a livello globale, la bomba demografica si sta disinnescando, e in luogo di insistere sul bisogno di ridurre i consumi (cosa assolutamente necessaria) vale la pena di puntare su un arricchimento del nostro P/Fil quotidiano, puntando su migliori relazioni con gli umani e con la natura circostante, non saremo forse più felici, ma sicuramente più allegri, se non gioiosi come sostiene Vittorino Andreoli e non entreremo nelle pagine del prossimo libro di Bronnie Ware.