Politica

Agli ambientalisti italiani manca un contenitore politico: ne parleremo a Firenze, ci sarò anch’io

Sabato 5 febbraio a Firenze un’assemblea ecologista per far uscire dall’anonimato gli ambientalisti e dare una alternativa coerente ai cittadini italiani.

Ma quindi cosa vogliono fare gli ambientalisti italiani? È la domanda ricorrente che molti cittadini, in Italia e in Europa, si chiedono. Perché in Italia, malgrado la domanda crescente della società civile e l’abuso di argomenti “green” (che spesso e volentieri è solo greenwashing), non si è ancora riusciti a dare vita ad una solida opzione politica incentrata sull’ambiente, sulla giustizia sociale e contro le crescenti diseguaglianze economiche?

La risposta la si trova principalmente nella nostra attitudine verso la frammentazione, che spesso si risolve in una vera e propria scissione dell’atomo, con una moltitudine di piccole realtà ambientaliste strutturalmente diffidenti verso “l’altro”, ognuna arroccata nelle sue convinzioni, in competizione perenne con chi magari persegue progetti comuni e condivide gli stessi valori piuttosto che con l’odierna classe politica, interessata solo a dinamiche di potere e poltrone. Classe politica che, da destra a sinistra, si contraddistingue per il vuoto cosmico di idee, di partecipazione e di programmi e per un totale servilismo verso le lobbies e la burocrazia, che guidano indisturbate la nostra società.

A questo va aggiunto un problema di dimensioni giganti, ossia la totale e insindacabile subalternità del “mondo ambientalista” al centrosinistra italiano (che in realtà è centro iperliberista), al Partito Democratico e i suoi arnesi del potere. Dove sta scritto che l’ambientalismo è democristiano? Perché non si può realizzare un’offerta politica indipendente dagli schieramenti tradizionali, entrambi?

Il “centrosinistra” a cui si appoggia storicamente l’ambientalismo è quello che punta su gas e nucleare in tassonomia (dichiarano il contrario e poi sostengono sia in Consiglio che in Commissione Ue), che cementifica, che trivella, che sostiene modelli di sviluppo globale totalmente insostenibili.

Il potenziale di un’offerta nuova e indipendente, coerente e staccata dall’offerta politica odierna, credo sia sotto gli occhi di qualsiasi buon osservatore. Abbiamo eccellenze a livello locale da Nord a Sud in termini di ricerca, tecnologia e mondo dell’impresa. Una cultura ecologista che esiste da anni e che ha permesso all’Italia di progredire in molte aree e che in molti ci invidiano (ne parla Michele Dotti sul suo blog su ilfattoquotidiano.it). La maggior parte degli italiani è consapevole del cambiamento climatico e dell’importanza nel rispettare la natura e anche del dover modificare alcune abitudini malsane o fare qualche sacrificio. C’è sicuramente molto lavoro da fare ma il terreno è fertile.

Quel che manca è un contenitore politico, chiamiamolo “laboratorio”, che contenga una proposta nuova, partecipato da persone nuove, attento alle vicende del mondo reale e non ai calcoli di palazzo, con una prospettiva di temi e di fatti, non di parole vuote che vengono ripetute ad ogni inutile conferenza. Un progetto che tenga conto delle diseguaglianze territoriali (il Sud in Italia ha bisogno di attenzioni diverse e investimenti reali), ma che abbia un progetto e una proposta comune, come già successo in Germania e in altri Paesi. Se qualcosa di nuovo deve nascere, bisognerà mettere da parte personalismi ed egoismi interni dettati dalla fame di poltrone e riportare al centro del progetto il cittadino, l’impresa, l’industria (che paradossalmente è molto più avanti rispetto alla politica in tema di conversione e transizione) e il territorio.

Ambiente e clima devono essere percepiti come opportunità per i cittadini e non come minaccia sociale o economica, così come li dipingono i difensori del regresso e dello status quo, che ci sta portando alla distruzione. Per questo la rinnovata spinta ecologista deve poggiare su un nuovo paradigma che integri transizione ecologica e digitale basandosi sull’aspetto sociale ed economico, quindi su investimenti e lavoro. Un progetto a 360 gradi che ha bisogno di pianificazione e visione del futuro.

Fino ad oggi la variegata proposta politica ecologista ha fallito. I partiti “verdi” (che hanno cambiato più volte nome, lasciando però invariata la sostanza) non sono mai stati percepiti come una vera alternativa, mentre il M5S, che poteva rappresentare la grande novità e che sull’ambiente aveva gran parte delle sue stelle iniziali, una volta raggiunto il potere quei programmi li ha messi da parte, dedicandosi piuttosto che alla transizione ecologica ad una transizione verso l’Udeur (che ci ha regalato un disastro come Cingolani), buona solo a soddisfare le bramosie di carriera di chi ha piratescamente preso il timone, tradendo le aspettative di milioni di persone.

Si dice però che i grandi risultati si ottengono solo dopo tanti fallimenti. Per questo non bisogna smettere di lavorare, di impegnarsi affinché si sviluppino delle alternative realmente democratiche, non ostaggio di chi della politica ne fa una questione di carriera personale (che è il motivo per cui queste realtà non sono mai attrattive), e aperte ad una rappresentanza plurale e dinamica.

L’Assemblea di sabato 5 febbraio a Firenze, presso l’Auditorium Stensen, a cui parteciperò anche io, viaggia nella direzione de pluralismo e della partecipazione e coinvolge una molteplicità di soggetti diversi: da liste civiche ai parlamentari ed europarlamentari indipendenti, da associazioni a sindaci, passando per una moltitudine di personalità impegnate su temi fondamentali della nostra vita che oggi non trovano risposte credibili nella politica italiana.

Io partecipo perché credo sia necessario impegnarsi per costruire una alternativa votabile in Italia, che dia una spallata all’inevitabile astensionismo, che è anche il miglior alleato della conservazione del potere. Ho creduto in molte battaglie e sono stato eletto due volte per portarle avanti con una realtà che aveva un potenziale pazzesco ma che oggi purtroppo non esiste più. Non è mia intenzione entrare in partiti esistenti, posizionarmi (o riposizionarmi) per essere candidato di nuovo o essere piazzato da qualche parte (a differenza di molti che sono rimasti nel M5s-Udeur di oggi). Io a quella regola dei due mandati, divenuta tabù innominabile, ci credevo e intendo rispettarla, però posso mettere a disposizione il mio tempo e le conoscenze che ho acquisito in questi anni per aiutare genuinamente dei processi dal basso che diano voce a chi non ne ha e spazio e a chi lo merita.

C’è bisogno di partire dal basso, con obiettivi politici ben delineati, che non scompaiano alla prima offerta di un piatto di lenticchie o di una poltrona.