Diritti

Hostess molestata, ‘troppi’ trenta secondi per reagire: quanti ne servono per una condanna?

Quante donne hanno subito aggressioni di tipo sessuale senza provare imbarazzo, confusione, paura? Quali sarebbero, secondo i tribunali, i tempi giusti per reagire? Le reazioni che possono essere messe in atto quando si fronteggia una aggressione sessuale sono la fuga, l’attacco o la paralisi, ovvero una sorta di blocco che impedisce qualunque capacità di reazione. Sono sufficienti trenta secondi prima di esclamare: “mi sto incazzando”, quando l’uomo al quale ti sei rivolta per lavoro, un sindacalista retribuito per dare consulenze sui tuoi diritti, pensa di poterti mettere le mani addosso, rubando un contatto intimo che non vuoi? Se avesse rubato un portafoglio sarebbe stato valutato solo il furto, non la reazione della derubata.

Ma non si è trattato del furto di un portafoglio e, secondo il Tribunale di Busto Arsizio, trenta secondi per reagire a palpeggiamenti sono decisamente troppi. Con queste motivazioni è stato assolto un sindacalista della Cisl a processo per aver commesso violenza sessuale su un’assistente di volo. I fatti sono avvenuti a Malpensa nel marzo del 2018. Durante il processo la donna è stata ritenuta credibile dalle tre magistrate Nicoletta Guerriero, presidente del collegio, Giulia Pulcina e Veronica Giacoia, che però non hanno ritenuto che ci fosse reato per “insussistenza dell’elemento oggettivo e del coefficiente psicologico richiesto dalla norma incriminatrice”. Le giudici hanno scritto che la condotta dell’uomo “non ha implicato alcun costringimento fisico della vittima, né si è concretizzata in atti idonei a superare la volontà contraria della persona offesa per insidiosità e repentinità” perché la assistente di volo durante l’aggressione protratta per trenta secondi “ha continuato a sfogliare e a leggere documenti senza manifestare nessun dissenso” ed era “nelle condizioni di potersene andare” perché la porta non era chiusa a chiave.

DiRe, la rete dei centri antiviolenza, ha giudicato irricevibili le motivazioni dell’assoluzione e ha commentato come ci si trovi “ancora una volta di fronte a organi del sistema giudiziario che agiscono seguendo stereotipi e pregiudizi che fanno ritenere le donne responsabili per non aver impedito la violenza che subiscono”. La giudice Paola Di Nicola, alla quale mi sono rivolta per commentare questa sentenza, ha osservato che “il tribunale di Busto Arsizio ha confermato che sono stati compiuti atti sessuali, che la vittima è stata credibile, che la fondatezza delle accuse è stata accertata da testimonianze di altre donne che avevano subito dallo stesso uomo comportamenti che sono stati edulcorati come “inopportuni approcci sessuali sul luogo di lavoro”, eppure ha assolto l’imputato. Le giudici hanno ritenuto che la mancanza di reazione della vittima abbia creato una sorta di consenso implicito. Così non si è tenuto conto della giurisprudenza della Cassazione, ormai pluridecennale granitica e pacifica, che rappresenta come la violenza sessuale si consuma anche se la vittima non si oppone in maniera esplicita e resta in uno stato di passività (si legga per esempio la sentenza 3224 del 2021); giurisprudenza costante in linea con la Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa”.

Ma la Carta ratificata dall’Italia il 19 giugno del 2013 viene spesso dimenticata nelle aule dei tribunali civili e penali. A farne le spese sono le donne che denunciano violenze, spesso incoraggiate a “rompere il silenzio”, pena lo stigma della “vigliaccheria”, dalle campagne istituzionali contro la violenza alle donne. Una scelta che può diventare una doccia fredda se la violenza non costituisce reato perché si è consumata più velocemente della reazione lenta della vittima. Eppure, da anni, la Corte di Cassazione è orientata a non prendere in considerazione la reazione delle vittime quando deve accertare la responsabilità degli aggressori.

La giudice Paola Di Nicola lo spiega: “La sentenza si limita ad alcune affermazioni senza tenere conto delle sentenze della Corte di Cassazione sulla violenza sessuale, in tema di dissenso, consenso e libertà di autodeterminazione. In linea generale va sottolineato che quando si decontestualizzano i fatti e si imp0ne alle vittime di reagire a una violenza sessuale secondo la logica astratta che ha l’interprete di una vittima perfetta di stupro, e non una donna specifica in un particolare rapporto di potere, si applica uno stereotipo sullo stupro privo di agganci con la realtà di fatto e con le prove acquisite. Questo accade ancora per la mancanza di una formazione adeguata da parte di tutti gli operatori del diritto. Continuano a non valutarsi le normali reazioni fisiologiche delle vittime di aggressione sessuali, come il fenomeno della tanatosi che limita o esclude qualunque capacità di reazione, e in questo modo si finisce per colpevolizzare ancora una volta le vittime deresponsabilizzando gli autori di violenza”.

Teresa Manente, l’avvocata che ha assistito l’assistente di volo e sta lavorando alla richiesta di appello, ha anche puntato il dito contro la strategia dei legali dell’imputato che per tutto il processo hanno cercato di screditare la vittima come una donna isterica e mendace. La procura aveva chiesto la condanna a due anni di reclusione per il sindacalista, vedremo se ricorrerà in appello.