Società

“Mai arrendersi al male, anche se ci si sente inutili”: gli auguri, per credenti e non, di Don Zuppi, Don Tonino Bello e Padre Turoldo

Tre messaggi per celebrare le feste natalizie in questo 2021, dagli "auguri scomodi" di Tonino Bello ai versi di padre Turoldo scritti in occasione del suo ultimo Natale. Fino al cardinale Zuppi: "Ci sia perseveranza nel combattere la pandemia e tutte le pandemie"

Ci sono parole che parlano a credenti e non. Sono quelle di uomini e donne che hanno vissuto appieno la loro esistenza. In questo Natale 2021, abbiamo scelto di fare gli auguri ai nostri lettori con tre voci che sono testimonianze preziose per non dimenticare il vero senso della “Bella notizia”. Anche in un momento tragico come quello che stiamo vivendo, il messaggio di chi ha provato o prova ad amare, ci richiama a guardare meno all’ “io” e più all’altro. Abbiamo selezionato due testi di uomini che ci hanno lasciato ma che restano indelebili nella memoria, don Tonino Bello e padre David Maria Turoldo e uno di chi vive in mezzo a noi: don Matteo Zuppi, cardinale di Bologna.

Matteo Zuppi, 66 anni, dal 2019 è cardinale ma preferisce farsi chiamare “don” al posto di monsignore o di eminenza. Dopo una vita trascorsa accanto ai più poveri con la comunità di “Sant’Egidio” è stato nominato vescovo da Papa Benedetto XVI e Francesco l’ha elevato ad un gradino più alto. Ma Zuppi resta “uno di noi”. Gira in bici per la città e ha scelto di dormire in una residenza per preti in pensione. A lui abbiamo chiesto gli auguri per i nostri lettori:

“Auguro che tante porte si aprano e che le paure siano sconfitte. Auguro di non scappare, di non sentire la propria fragilità come una condanna, come un limite perché Dio la sa far sua.
Auguro di saper riconoscere nella debolezza del prossimo la presenza di Dio perché solo così possiamo capire che siamo fratelli tutti.
Non è questione di essere politically correct ma di chinarsi sulla debolezza e sulla bellezza dell’umanità. Auguro di essere perseveranti nel combattere la pandemia e tutte le pandemie. Anche quando si pensa di essere inutili non bisogna mai arrendersi alla logica del male. Ne vale la pena sempre.
Nei giorni scorsi, ho ascoltato una canzone dello “Zecchino d’Oro” che mi ha fatto molto riflettere. Si intitola “Forza Gesù”. Nel testo il bambino che canta dice: “Forza Gesù, non ti preoccupare. Se il mondo non è bello visto da lassù”. È quel piccolo a incoraggiare e rassicurare Gesù: lo invita a venire nonostante tutto. Questa canzone mi ha ricordato le parole di Etty Hillesum: “Siamo noi a dover aiutare Dio”. Ecco, Lui ha bisogno di noi . Quando vince l’indifferenza Dio ha bisogno di noi”.

Tonino Bello, scomparso a causa di una malattia a 58 anni. Un altro vescovo che si faceva chiamare “don”. Nato e morto nella sua terra, la Puglia, portava al collo una croce di legno e al dito, anziché l’anello vescovile, quello di sua madre. Presidente di “Pax Christi” il movimento cattolico internazionale per la pace, dopo monsignor Luigi Bettazzi, fece una marcia dentro la città di Sarajevo da diversi mesi sotto assedio serbo a causa della guerra civile. Da vescovo, il suo palazzo, venne aperto agli sfrattati, alle prostitute, ai più poveri.

“Auguri scomodi”

Carissimi, non obbedirei al mio dovere di vescovo se vi dicessi “Buon Natale” senza darvi disturbo. Io, invece, vi voglio infastidire. Non sopporto infatti l’idea di dover rivolgere auguri innocui, formali, imposti dalla routine di calendario. Mi lusinga addirittura l’ipotesi che qualcuno li respinga al mittente come indesiderati.
Tanti auguri scomodi, allora, miei cari fratelli!
Gesù che nasce per amore vi dia la nausea di una vita egoista, assurda, senza spinte verticali e vi conceda di inventarvi una vita carica di donazione, di preghiera, di silenzio, di coraggio. Il Bambino che dorme sulla paglia vi tolga il sonno e faccia sentire il guanciale del vostro letto duro come un macigno, finché non avrete dato ospitalità a uno sfrattato, a un marocchino, a un povero di passaggio.
Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita, il sorpasso, il progetto dei vostri giorni, la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate.

Maria, che trova solo nello sterco degli animali la culla dove deporre con tenerezza il frutto del suo grembo, vi costringa con i suoi occhi feriti a sospendere lo struggimento di tutte le nenie natalizie, finché la vostra coscienza ipocrita accetterà che il bidone della spazzatura, l’inceneritore di una clinica diventino tomba senza croce di una vita soppressa.
Giuseppe, che nell’affronto di mille porte chiuse è il simbolo di tutte le delusioni paterne, disturbi le sbornie dei vostri cenoni, rimproveri i tepori delle vostre tombolate, provochi corti circuiti allo spreco delle vostre luminarie, fino a quando non vi lascerete mettere in crisi dalla sofferenza di tanti genitori che versano lacrime segrete per i loro figli senza fortuna, senza salute, senza lavoro.
Gli angeli che annunciano la pace portino ancora guerra alla vostra sonnolenta tranquillità incapace di vedere che poco più lontano di una spanna, con l’aggravante del vostro complice silenzio, si consumano ingiustizie, si sfratta la gente, si fabbricano armi, si militarizza la terra degli umili, si condannano popoli allo sterminio della fame.
I Poveri che accorrono alla grotta, mentre i potenti tramano nell’oscurità e la città dorme nell’indifferenza, vi facciano capire che, se anche voi volete vedere “una gran luce” dovete partire dagli ultimi.
Che le elemosine di chi gioca sulla pelle della gente sono tranquillanti inutili.
Che le pellicce comprate con le tredicesime di stipendi multipli fanno bella figura, ma non scaldano.
Che i ritardi dell’edilizia popolare sono atti di sacrilegio, se provocati da speculazioni corporative.
I pastori che vegliano nella notte, “facendo la guardia al gregge”, e scrutano l’aurora, vi diano il senso della storia, l’ebbrezza delle attese, il gaudio dell’abbandono in Dio. E vi ispirino il desiderio profondo di vivere poveri che è poi l’unico modo per morire ricchi.
Buon Natale! Sul nostro vecchio mondo che muore, nasca la speranza”.

David Maria Turoldo, di Sedegliano, è morto a Milano a 76 anni. Membro dell’ordine dei “Servi di Maria” è noto come poeta, scrittore, teologo ma è stato molto di più. Turoldo collaborò in maniera attiva alla Resistenza antifascista, creando e diffondendo dal suo convento il periodico clandestino “l’Uomo”. Legato a Carlo Maria Martini, Turoldo è stato ed è un punto di riferimento per cristiani e non. Questi versi sono stati scritti poco prima del suo ultimo Natale, nel 1991, quando già la sua salute era minata dalla malattia. Sarebbe morto di lì a poco.

“La tristezza di questi natali
Signore, ti muova a pietà.
Luminarie a fiumane,
ghirlande di false costellazioni
oscurano il cielo di tutte le città.
Nessuno più appare all’orizzonte:
nulla che indichi l’incontro con la carovana del Pellegrino;
non uno che dica in tutto l’Occidente:
“Nel mio albergo si, c’è un posto”!
Non un segno di cercare oltre,
un segno che almeno qualcuno creda,
uno che attenda ancora colui che deve venire…
Non attendiamo più nessuno!
Tutto è immoto, pure se dentro un inarrestabile vortice!
È così, è Destino, più non ci sono ritorni,
né ricorsi: è inutile che venga!
Tale è questa civiltà gravida del Nulla!
Ora tu, anche se illuso di credere
o figlio dell’ateo Occidente, segui pure la tua stella
– così è gridato per tutta la città dai vessilli –
segui, dico, la stella e troverai cornucopie vomitare leccornie,
o non altro che spiritati manichini di mode folli in volo dalle vetrine…
Poiché falso è questo tuo donare (è Natale!),
falso perfino stringerci la mano avanti la Comunione,
e trovarci assiepati nella Notte a cantare “Gloria nei cieli… “.
Un amaro riso di angeli obnubila lo sfavillio dei nostri presepi,
Francesco cantore di perfette, tragiche letizie:
pure se un Dio continuerà a nascere,
a irrompere da insospettati recessi:
là dove umanità alligna ancora silenziosa e desolata:
dal sorriso forse di un fanciullo della casba a Daccà, o a Calcutta…
Nessuno conosce solitudine come il Dio del Cristo:
un Dio che meno di tutti può vivere solo!
Certo verrà, continuerà a venire,
a nascere ma altrove,
altrove…”

(Da Il sapore del Pane, San Paolo, 2002)