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Il consenso è importantissimo: così il Cremlino affronta la guerra in Siria promuovendo un film

di Riccardo Cristiano*

Il modello John Wayne sbarca al Cremlino? L’ipotesi va presa in seria considerazione se si ritiene, come molti ritengono, che John Wayne abbia incarnato il genere cinematografico dei film western e che quei film abbiano svolto un ruolo importante nel costruire una diversa percezione della realtà, o un diverso racconto, sulla conquista ai danni dei pellirossa del famoso Far West. Una guerra dei buoni (gli americani) contro i cattivi (gli indiani) e non il contrario. Nessuna conquista, piuttosto una “liberazione”. Un’operazione che serviva soprattutto all’interno, alla coscienza di quelli che i critici chiamavano “yankee”, all’idea che si aveva di sé, ma che per la forza e la qualità del genere ha poi avuto anche un effetto e valore internazionale.

La cinematografia è importante per tutti, non solo per gli americani, e così ora il Cremlino si è lanciato nella promozione del film Sky, che racconta la storia di Oleg Anatolyevich Peshkov, il pilota russo il cui jet venne abbattuto dai turchi e cadde in territorio siriano, dove si stava recando in missione bellica, sei anni fa. La prima proiezione del film ha avuto luogo in Siria, ad Aleppo, nella base militare russa di Hmeimim, nell’anniversario dell’attacco missilistico turco e della morte del pilota, ucciso dai ribelli siriani quando cadde, mentre in patria è stato presentato in anteprima in un cinema di Ekaterinburg, la città nella regione degli Urali dove Europa e Asia si uniscono.

Il film è prodotto da Trix Media Film Company, con la partecipazione del ministero della difesa russo e della prima rete televisiva russa. Girato in gran parte in Crimea, il film presenta scene realizzate direttamente nelle basi militari russe, in patria e in Siria – anche, ovviamente, nella stessa base di Hmeimim. La produzione lo ha presentato come il primo film sulla campagna militare russa in Siria. Se è il primo si può immaginare che altri potranno seguire.

Il trailer del film, reperibile anche effettuando una ricerca in lingua italiana e facilmente rintracciabile su YouTube, mostra chiaramente una vittima del terrorismo, il dolore dei familiari, dei commilitoni e il loro procedere nella lotta che li ha accomunati, quella contro i terroristi islamisti. In prima fila c’è un senso patriottico, con un bambino, probabilmente il figlio del militare ucciso, che saluta commosso lo scomparso portando la mano alla fronte. Che in quelle azioni siano frequentemente stati colpiti ospedali, scuole, abitazioni private, con sofisticati mezzi bellici, non si coglie. I dati e le statistiche sugli obiettivi militari della campagna russa nel nord della Siria sono accessibili a tutti, ma non è questo che qui conta ricostruire. È importante invece sapere che il film è già stato tradotto in arabo, e la proiezione ad Aleppo indica che il mercato siriano conta per il Cremlino quanto quello interno.

La spesa bellica sostenuta da Mosca non è stata certo irrilevante e ora il consenso è importantissimo: in patria, dove tra Covid e altre emergenze i motivi per il malessere non mancano; e tra gli arabi, soprattutto siriani, dove Mosca ha bisogno di costruire o mantenere un consenso nella gravità della crisi umanitaria che non si attenua. La cinematografia è decisiva nella costruzione di una percezione della realtà. Il punto di vista dei vincitori ha sempre prevalso nel racconto dei conflitti, ma c’è stata una grande novità, anche questa molto nota, che spiega come non tutto sia stato sempre univoco. Il punto di vista delle vittime vietnamite nella guerra del Vietnam è stato raccontato a tutto il mondo, non tanto da loro: la critica all’intervento americano è giunto nelle sale cinematografiche americane, e non solo, soprattutto con film americani che molti hanno considerato capolavori, e che hanno fondato un diverso sentire sulle guerre e sul valore delle vite delle popolazioni vittime di quegli interventi.

Che gli strumenti usati da tantissimi vincitori per costruire consenso si ripetano anche in questo caso non sorprende, ma è anche vero che la sensazione di un ritorno al passato non può essere negata, vista la partecipazione diretta del ministero della difesa russo all’impresa. Un certo nazionalismo passa necessariamente anche di qui, non è certo una novità, ma questa potrebbe essere la conferma di quanto abbia da dire nell’oggi.

* Vaticanista di Reset, rivista per il dialogo