Scienza

L’enorme sfida al cancro dei vaccini a Rna messaggero, l’oncologo: “È probabile che diventino una nuova arma in più”

L'intervista - Giovanni Apolone, direttore scientifico dell’Istituto Tumori di Milano: "L’ipotesi su cui stavano già da tempo lavorando molti gruppi al mondo, soprattutto in ambito oncologico, era proprio questa: identificare elementi specifici del tumore e insegnare al nostro sistema immunologico ad attivare una risposta che eliminasse le cellule cancerogene"

Fino a poco tempo fa, nessuno li conosceva. Tranne i ricercatori che da anni li studiano per individuare una chiave di volta per la cura dei tumori e dell’Hiv. Poi sono atterrati prepotentemente sulle pagine di cronaca pandemica e li abbiamo tutti un po’ conosciuti da vicino e molto strettamente. Sono i vaccini mRna – o RNA messaggero – utilizzati da Pfizer BioNTech e Moderna per contrastare il virus Sars Cov 2. Recentemente in un’intervista su Repubblica, Sahin e Tureci, i fondatori di BionTech, hanno dichiarato che l’azienda è in fase avanzata di sperimentazione clinica su gruppi di volontari per mettere a punto in futuro alcuni vaccini contro tumori solidi, il melanoma e il carcinoma del colon-retto. Con la possibilità di averli in commercio entro 4-5 anni.

“Il sistema immunologico, attraverso i suoi componenti, giorno per giorno, fa il suo lavoro: riconosce tutto quello che nel nostro organismo è estraneo e cerca di eliminarlo”, spiega il dottor Giovanni Apolone, direttore scientifico dell’Istituto Tumori di Milano. “Questo vale per elementi esterni, come virus e batteri, ma anche per le cellule dei nostri organi che si alterano, diventano diverse, come quelle tumorali. Alcune componenti del nostro sistema immunitario sono cellule che producono ‘armi’, gli anticorpi, che aggrediscono gli elementi estranei e mantengono la memoria di farlo a ogni nuovo contatto. L’ipotesi su cui stavano già da tempo lavorando molti gruppi al mondo, soprattutto in ambito oncologico, era proprio questa: identificare elementi specifici del tumore e insegnare al nostro sistema immunologico ad attivare una risposta che eliminasse le cellule cancerogene. Questo attraverso l’introduzione nelle nostre cellule di una piccola molecola, l’Rna messaggero, che è in grado di istruirle a produrre una specifica caratteristica del bersaglio di interesse, la cellula tumorale, in modo che quando fosse comparsa avrebbe trovato il nostro organismo pronto a reagire. Questa tecnologia è stata utilizzata ora in miliardi di persone per il Covid, e ormai sappiamo molto sulla sua azione, efficacia e sicurezza, superiore ai vaccini tradizionali che utilizzano invece virus vivi, attenuati o loro frammenti. Da ricordare comunque che esistono già vaccini più ‘tradizionali’ contro l’Hpv (tumore del collo dell’utero e della testa-collo) e l’antiepatite B (tumore del fegato)”.

Dottor Apolone, quali sono i principali problemi da risolvere nella ricerca di un vaccino contro i tumori?
“Dopo più di 20 anni di ricerche e sull’esperienza derivata dai vaccini per il Covid-19, si sta cercando di identificare alcune caratteristiche del patrimonio genetico dei tumori che siano presenti in tutte le cellule tumorali, quindi uno specifico comun denominatore da usare come bersaglio insegnando alle cellule del sistema immunologico a produrlo attraverso un mRna introdotto con un vaccino formato da un vettore inattivo, in modo che le nostre cellule producano questa piccola parte simile a quella del tumore e ne mantengano la memoria”.

Ottenuto questo risultato, che succede se una cellula si trasforma in una tumorale?
“Sarà riconosciuta questa sua specifica parte e quindi aggredita ed eliminata attraverso gli anticorpi prodotti. Parliamo quindi di un vaccino ‘preventivo’”.

BioNTech ha affermato che sta lavorando anche all’individuazione di un vaccino calibrato sul singolo paziente, che ha come bersaglio venti antigeni specifici del tumore di un individuo.
“Infatti, si sta anche tentando di personalizzare il vaccino per uno specifico tumore in una specifica persona, in modo da utilizzarlo in presenza della malattia come un vaccino ‘terapeutico’. Questi due approcci, il preventivo e curativo che possono anche essere combinati, sono nella fase 1 sperimentale, cioè le prime somministrazioni in volontari dopo aver superato la fase in laboratorio e nell’animale”.

Un vaccino mirato per il singolo paziente è una sfida enorme.
“Le difficoltà sono dovute all’intrinseca natura eterogenea dei tumori che fa sì che anche in una singola massa tumorale le cellule abbiano un patrimonio genetico e molecolare vario che si modifica nel tempo, generando quindi sottospecie nuove, che potremmo definire varianti, che potrebbero diventare così diverse da essere resistenti al vaccino. Un fenomeno che abbiamo già osservato in corso della somministrazione delle attuali terapie anticancro: all’inizio il tumore si riduce, fino al punto da scomparire; poi sviluppa una resistenza per la comparsa di cellule che non sono più sensibili al farmaco in questione, la malattia progredisce o si ripresenta imponendo una nuova linea di trattamento. Gli studi futuri permetteranno di verificare se questo fenomeno sarà presente e si cercherà di prendere le misure necessarie. È probabile che i nuovi vaccini anticancro diventeranno una nuova arma in più nella nostra lotta contro i tumori, da utilizzare in sequenza o in combinazione con le altre terapie che ora usiamo, ossia la chirurgia, la radioterapia e i diversi farmaci antitumorali. Molto sappiamo e molto impareremo nel corso dei vari studi e progetti in corso e futuri, ma certamente si tratta di una linea di ricerca che produrrà evidenze, conoscenze e nuovi approcci preventivi e terapeutici”.

Con i vaccini anti Covid, gli Stati si stanno confrontando sul dilemma degli elevati costi da sostenere. C’è da aspettarsi una sfida economica ancora più gravosa per vaccini così mirati?
I costi della ricerca, ora ben finanziata alla luce dei risultati ottenuti contro il Covid 19 e poi dei vaccini, sono e saranno molto alti. Non tanto il costo individuale del medicinale finale (da poche decine a qualche centinaia di euro), ma quello complessivo per ogni singolo Stato in quanto i vaccini preventivi e/o terapeutici dovrebbero essere somministrati a centinaia di migliaia se non milioni di cittadini e pazienti. In Italia ci sono milioni di persone a rischio di tumore a causa delle non corrette abitudini di vita come il fumo e circa 370mila nuovi casi all’anno”.

La prospettiva di avere vaccini che intervengano in diversi quadri patologici gravi può indurre le persone a seguire uno stile di vita senza particolari precauzioni salutari?
“Si tratta di un dilemma che potrebbe diventare una opportunità: la maggior parte dei tumori, soprattutto i più frequenti come quelli al polmone, è legata al nostro stile di vita e a cattive abitudini (sedentarietà, fumo, alcol, sovrappeso, ecc.). La disponibilità di un vaccino preventivo potrebbe ridurre l’attenzione alla correzione di questi fattori che sono la causa o la concausa della malattia. Questo aspetto apre però un dibattito sull’eticità di allocare importanti risorse dei nostri sistemi sanitari a una malattia che si potrebbe prevenire con approcci meno costosi e più naturali, evitando per esempio il consumo di tabacco”.

Come si affronta questo dilemma?
“In realtà il dibattito è già in corso. Torno all’esempio del fumo che causa ogni giorno circa 200 morti in Italia per il suo effetto cancerogenico e sul sistema circolatorio (rispettivamente seconda e prima causa di morte in Italia). Sta partendo in Italia un programma di screening e di diagnosi precoce del tumore al polmone, il Progetto RISP, finanziato dal ministero della salute e coordinato dall’Istituto dei Tumori di Milano di Milano, un progetto che prevede l’esecuzione di una tac periodica a persone a rischio di sviluppare il tumore, cioè fumatori; accanto alla tac si offrirà un programma di disassuefazione, anche attraverso l’utilizzo di farmaci specifici. Possiamo quindi pensare che programmi di vaccinazione contro i tumori potranno essere accoppiati a campagne di prevenzione primaria offerte con la vaccinazione preventiva”.