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Coez a FqMagazine: “Sono innamorato, canto meno l’amore e il mio sound è più duro. Ecco perché il tour nei club e non nei palazzetti”

Il cantautore cambia pelle e dopo aver metabolizzato il successo di “È sempre più bello” di due anni fa, torna con tredici brani inediti di “Volare”, in cui racconta la vita quotidiana, i paesaggi urbani, i quartieri, i cieli, gli orizzonti le nuvole che accompagnano i sogni, i ricordi e le malinconie

Volare è guardare su e non giù da un terrazzo, è pretendere di più, e che cazzo. È non tornare a casa dopo un concerto, non conta se ho sofferto, guarda come mi diverto”. Il titolo del sesto disco di Coez, “Volare”, è una dichiarazione di intenti. Il nuovo progetto è stato preceduto da due brani, “Wu-Tang” e “Flow Easy”. Il primo vero singolo estratto è “Come nelle canzoni”. Tante le collaborazioni con colleghi e “soprattutto amici” come Neffa (“Cerchi Con Il Fumo”), Salmo e Massimo Pericolo (“Crack”), Guè e Gemitaiz (“Sesso e Droga”), Noyz Narcos (“Olʼ Dirty”) e il collettivo Brokenspeakers (“Casse Rotte”). Dal 31 gennaio 2022 parte da Torino il tour.

Cosa rappresenta per te “Volare”?
Questo album per me è un riassunto di tutti gli album fatti sino ad adesso. Ci sono richiami al mio primo periodo ma ‘Occhi Rossi‘ rappresenta uno step successivo. Una forma canzone che non avevo mai proposto prima. Spesso mi hanno classificato come ‘artista indie’ che ad un certo punto è diventato un genere vero e proprio. Era il genere di canzoni che facevamo io, Calcutta, I Cani e i Thegiornalisti. Stavolta ho voluto staccarmi anche dalla collaborazione con Contessa e lanciarmi su un sound più americano e hip hop. Quando è arrivata ‘Occhi rossi’ mi sono rilassato. Ho anche pianto per lo sfogo, mi sono detto: ‘Dopo anni ce l’ho fatta’.

Ma l’indie è morto?
Parlo per me. Ad un certo punto ho capito che il percorso indie con Contessa si era un po’ esaurito. Sono cambiato io, sono cambiati i miei gusti e sicuramente mi sono anche un po’ ammorbidito rispetto agli inizi ‘hard core’. Con i primi album con Contessa abbiamo scritto tanto d’amore, senza alcun timore che un pezzo risultasse commerciale o meno. L’obiettivo era solo fare una bella canzone. A questo giro non siamo riusciti a collaborare. Ho cercato di tirarlo dentro ma i produttori dopo un po’ esauriscono la vena comunicativa e alla fine era il mio obiettivo era che questo disco risultasse fresco, non annoiasse me né chi lo avrebbe ascoltato. Non voglio dire che il filone indie si sia esaurito, siamo arrivati ad un punto di saturazione. Io farò altro, sono però contento di averne fatto parte.

Oggi sei più sereno?
Ammetto di aver vissuto periodi molto brutti in passato. Soprattutto nel 2017 quando è uscito l’album “Faccio un casino”. Ho avuto problemi legati alle distribuzione, ero primo ovunque ma i soldi erano finiti in un buco nero. In più dovevo suonare e fare duecento date. Insomma sebbene all’esterno sembrava girasse tutto bene, dentro vivevo un periodo terribile.

Poi cos’è successo?
Dopo l’uscita di “È sempre bello” (2019) mi sono guardato dentro, mi sono detto ‘mo che cacchio faccio?‘. Arriva sempre una riflessione in momenti particolari della vita in cui capisci che è arrivato il momento di fare una riflessione su cosa si vuole fare dopo. Bisogna anche entrare nell’ottica che non sempre chi fa successo è contento.

Cosa hai capito?
Ho capito cosa voglio, quale tipo di disco avrei fatto e che è bello rischiare.

Il successo cosa ti ha regalato?
Vengo da una famiglia umile. Così ho subito risolto tutti i problemi economici della mia famiglia. Loro non mi hanno chiesto nulla sia chiaro. Era giusto che lo facessi, me lo sentivo e l’ho fatto. Ora devo pensare un po’ a me stesso.

Hai nuova consapevolezza?
Forse non sarò mai quello che farà i grandi numeri, c’è chi fa gli stadio, chi fa un botto di streaming. Però, senza voler peccare di presunzione, se si leva me dalla musica italiana penso che non sarebbe lo stesso. In qualche modo ho influenzato una parte della musica.

Hai sempre descritto la vita quotidiana, i paesaggi urbani, le città metropolitane, i quartieri… Hai mai sentito l’esigenza di far denuncia politica?Marracash è bravo perché è l’unico che riesce ad essere poetico e al contempo parlare di attualità. Io mi reputo scrittore di canzoni che è un po’ diverso dall’essere rapper. Per questo dico che Marra è l’unico che lo sa far meglio di altri. Stimo comunque chi ci riesce. Non escludo in futuro io possa dire la mia, se dovessero arrivare le parole. Qualcosa ho già fatto in passato, come ad esempio con “Costole rotte” del 2015 in cui ho ricordato la vicenda Cucchi, contenuto nel mio disco più ‘sociale’ ‘Niente che non va’. Ma ripeto, non lo escludo.

Oggi sei più introspettivo?
Questo disco l’ho scritto da fidanzato. Se si sta con una persona forse si ha il bisogno di esprimere anche molto altro. Quando sei da solo scrivi d’amore perché ti manca e vuoi colmare quella cosa che ti manca. Se sei stai con qualcuno quella cosa già ti appaga. Il ritorno alla durezza del sound un po’ da ‘coattello’ dipende da questo (ride, ndr).

Perché un tour nei club?
Abbiamo pensato di fare i clubbini, non i palazzetti per diversi motivi. Il primo è che i palazzetti ormai li fanno tutti. Quella roba l’ho fatta. Coi club invece creeremo dei micro eventi con una scaletta più corposa e soprattutto ho l’opportunità di fare più date, miriamo di passare da 12 a 40 date in totale, e far lavorare il più possibile i tecnici che sono rimasti fermi in questi due anni di pandemia.

Ma al Festival di Sanremo ci andrai?
Mi hanno rifiutato due volte però sono contento perché poi quelle canzoni sono arrivate da sole. Ce l’ho fatta da solo. Lo guardo, ma non è la mia realtà e sicuramente mi sentirei un pesce fuor d’acqua… Ma mai dire mai.