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Lombardia, la riforma sanitaria post-Covid? “Sulla medicina territoriale problemi irrisolti. E i privati escono ancora vincitori”

La Regione più colpita dal virus approva la riforma del settore: dalle case della comunità agli ambulatori sociosanitari, ecco come intende cambiare la medicina del territorio. Ma, secondo opposizioni e associazioni, le criticità rimarranno, dalle lunghe liste d'attesa al predominio delle aziende private, a beneficio delle classi più abbienti

Case della comunità, centrali operative territoriali e ospedali di comunità. Sono le strutture distribuite sul territorio da cui prova a ripartire la sanità lombarda, dopo le inadeguatezze rese palesi dalla pandemia che ha evidenziato tutti i problemi del sistema ospedalo-centrico ereditato da Formigoni e Maroni. Strutture in realtà previste e in gran parte finanziate dal Pnrr nazionale, cui la riforma targata Moratti appena approvata al Pirellone aggiunge una quarta tipologia, gli ambulatori sociosanitari territoriali. Per la vicegovernatrice e assessora al Welfare il tutto servirà a “rendere ancora più efficiente la sanità lombarda”. Ma per opposizione e critici più che di riforma, si tratta di una “non riforma” che lascia intatti i problemi esistenti, come la sempre maggiore rilevanza dei privati mai compensata da una capacità di pianificare l’offerta, col risultato di lunghe liste d’attesa per chi non può permettersi visite private e deve rivolgersi al pubblico.

E ora, con la riforma, i privati avranno la possibilità di gestire anche case della comunità e ospedali di comunità, in quello che per Vittorio Agnoletto, medico e membro del direttivo di Medicina democratica, è un sovvertimento dei principi su cui si dovrebbe basare il servizio sanitario: “Sul territorio è essenziale la prevenzione e più si previene più si riesce a risparmiare a livello di fiscalità pubblica. Il privato invece è poco interessato alla prevenzione, perché fa profitti su terapie e cure”. Con un’ulteriore conseguenza: “Le case della comunità saranno il primo punto di contatto per le persone con il servizio sanitario. Se le fai gestire a un privato che alle spalle ha tutta la filiera sanitaria, è probabile che il paziente verrà indirizzato per eventuali visite ed esami di approfondimento al privato stesso, piuttosto che al pubblico”.

Da porta di ingresso al sistema sanitario, le case della comunità rischiano dunque di diventare volano per gli affari dei privati. Ma vediamo quali saranno le caratteristiche delle strutture territoriali afferenti ai 100 distretti (oggi sono 27) che la riforma individua come sedi della programmazione delle attività sanitarie cui dovrebbero contribuire anche i sindaci.

Case della comunità
Costituiranno il punto unico di accesso alle prestazioni sanitarie e saranno il punto di riferimento per i malati cronici. Vi opereranno – dice Moratti – team multidisciplinari di medici di famiglia, medici specialisti, infermieri e ospiteranno anche gli assistenti sociali in sinergia con i Comuni. In ognuna sarà presente un consultorio. Le case di comunità più grandi, definite “hub”, saranno aperte 24 ore al giorno, 7 giorni su 7. Ce ne saranno in tutto 203, una ogni 50mila abitanti (20mila nelle zone montane e disagiate).

È anche così che la giunta Fontana punta a diminuire la congestione dei pronto soccorso e ad abbattere le liste di attesa negli ospedali. Problema che però, secondo il consigliere regionale del Pd Samuele Astuti, non verrà risolto perché quella che continuerà a mancare sarà la programmazione sanitaria: “La riforma non prevede il governo del sistema di offerta, il che comporta un numero di prestazioni non tarato sui bisogni. Il pubblico non eroga servizi sufficienti a rispondere alla domanda e i cittadini sono costretti a rivolgersi al privato”.

Nei desiderata del centrodestra che governa la Regione, nelle case della comunità dovranno lavorare in team i medici di famiglia. Resta tuttavia ancora da capire come questi verranno convinti a spostarsi dai loro studi alle case della comunità, anche in considerazione del fatto che sono liberi professionisti: “Manca una proposta di dialogo con loro”, dice il consigliere regionale di +Europa Michele Usuelli. “Ci dovrà essere un progressivo trasferimento di risorse umane dagli ospedali al territorio – aggiunge – ma su questo aspetto la legge di riforma non dice nulla”.

Resta poi da capire quanto saranno coinvolti i privati che, come detto, avranno la possibilità di gestire queste strutture territoriali. Tale ipotesi era già stata sdoganata a settembre ancora prima dell’approvazione della legge di riforma: “All’interno di un modello di Servizio sanitario regionale sussidiario – si legge in una delibera della giunta Fontana – va approfondita la possibilità di realizzare strutture che svolgano le medesime funzioni previste da case della comunità e ospedali di comunità, ma gestite da erogatori privati accreditati e di attivare forme di collaborazione fra soggetti pubblici e privati nella conduzione di tali strutture”.

Ospedali di comunità
In tutto 60, saranno strutture adatte a ricoveri brevi e destinate a pazienti che necessitano interventi sanitari a bassa intensità clinica. Prevalentemente a gestione infermieristica e a un livello intermedio tra la rete territoriale e l’ospedale, saranno di norma dotati di 20 posti letto (con un massimo di 40).

Centrali operative territoriali
Ogni distretto avrà una centrale operativa territoriale, cioè una struttura fisica o virtuale finalizzata all’orientamento del cittadino all’interno della rete dei servizi. Dovrà per esempio fornire servizi infermieristici a domicilio per chi viene dimesso dall’ospedale. Strutture cruciali nel Pnrr, ma secondo Marco Fumagalli del M5s lasciate in secondo piano dalla riforma della sanità lombarda: “Se si riuscisse a ridurre la pressione sugli ospedali con la degenza a casa tramite l’infermiere di comunità e la telemedicina – dice il consigliere regionale – sarebbe possibile ottenere notevoli risparmi di gestione, nonché un beneficio per i pazienti che preferiscono la casa rispetto all’ospedale. È chiaro che i sistemi avanzati di telemedicina e i relativi software e il coordinamento dell’attività di degenza e riabilitazione comportano uno sforzo organizzativo e tecnologico avanzato che, se venisse immediatamente valorizzato, rappresenterebbe la chiave di volta nella rivoluzione della medicina territoriale. Ma di come si voglia introdurre le centrali operative territoriali e di quale infrastruttura tecnologica si voglia dotare la medicina territoriale e la casa della comunità non vi è traccia nelle proposte della Moratti”.

Ambulatori sociosanitari territoriali
Sono strutture non previste dal Pnrr e introdotte nella riforma lombarda da un emendamento presentato dopo due settimane di discussione in aula dal leghista Emanuele Monti, presidente della commissione Sanità. Vi dovrebbero operare medici di medicina generale in associazione, che secondo quanto spiegato da Monti “potranno dare servizi che oggi il cittadino può trovare solo negli ospedali, spesso con lunghe attese”. Per esempio potranno controllare il fondo dell’occhio del paziente. Cosa che però, secondo il consigliere di +Europa Usuelli (che è anche un neonatologo), non è competenza dei medici di famiglia fare. “Gli ambulatori territoriali potrebbero avere senso al posto delle case della comunità in zone poco densamente popolate – dice Usuelli -. Invece verranno aggiunte alle case della comunità. Siamo alla moltiplicazione dei luoghi, anziché a quella degli operatori sanitari”.

@gigi_gno