Politica

Io dico che non c’è un ‘prima’ e un ‘dopo’ della destra. C’è continuità tra il sì a Di Bella e no vax

Invale ormai da qualche tempo la lettura, pure autorevole, secondo cui c’è un ‘prima’ e un ‘dopo’ dei partiti di destra: ‘prima’ erano per la legge e per l’ordine, ora sono per la libertà.

Dissento profondamente e sarebbe utile una ricerca che mappasse la continuità tra la destra del ‘prima’ e quella del ‘dopo’. Un esempio: quando venne fuori il metodo Luigi Di Bella, Alleanza Nazionale fece una campagna virulenta a favore, criticando l’allora ministro Rosy Bindi, chiedendone la testa.

Riporta La Repubblica:

Il giorno dopo l’annuncio dell’inefficacia della cura anticancro del professore modenese, Alleanza Nazionale ribadisce la scelta di appoggiare Di Bella e liquida i risultati della sperimentazione affermando che “erano stati ‘annunciati’ da molto tempo: dal momento della scelta dei malati da sottoporre a sperimentazione, cioè tutti malati terminali. Uno schieramento tanto radicale che la somatostatina è diventata “di destra” e di conseguenza la chemio “di sinistra”. Tra i più accaniti sostenitori Gramazio e Conti ma anche Tatarella, Monteleone, Fiori, Martelli, Mussolini. Hanno chiesto le dimissioni della Bindi, il commissariamento dell’ordine dei medici, hanno invitato Di Bella al loro congresso, gli hanno consegnato una targa a Bruxelles e fino a pochi giorni fa hanno rilasciato a suo favore decine e decine di dichiarazioni.

Era il 1998.

In realtà, come dimostra questo stralcio giornalistico, la destra di allora, come la destra di oggi, se da un lato era Law & Order, dall’altro coltivava, come da tradizione, il suo côté irrazionalistico, il solletico alle pulsioni misticheggianti ed esoteriche da nipotini del ‘barone’ Julius Evola.

Basta leggere, peraltro, i resoconti dei lavori parlamentari, quando Bindi affermava, applaudita da tutta la parte sinistra dell’emiciclo, che “Se la libertà che si chiede è quella non fondata sull’esercizio della responsabilità dei dati certi, sappiate che nessuno di noi è disposto a garantire questa libertà, mentre ci stiamo impegnando per garantire una libertà basata sulla certezza e sull’evidenza dei dati clinici e dei risultati che otterremo con questa sperimentazione”.

Sbottava un missino: “Neanche in Unione Sovietica è così”. O basta riportare quanto diceva già allora Alessandro Meluzzi, lo stesso che oggi imperversa e che a ottobre è stato sospeso dall’Ordine dei medici: “usata come una ideologia, la scienza diventa una manganello come un altro”. Nihil sub sole novum. Un altro missino, Romano Misserville, accusava il governo di voler mettere la sordina a un’informazione non asservita alla logica dell’esecutivo, e lo tacciava di distacco dagli interessi dei sempre evocati ‘cittadini’ (o meglio della ‘gente’) per favorire quelli delle multinazionali. Sembra di leggere cose scritte ieri.

Ha dunque ragione Alessandro Campi quando sull’ultimo numero della rivista Il Mulino ci racconta di una destra che era anti-individualista (si ricordino le ubriacature comunitariste di intellettuali come Marcello Veneziani, come se la destra sociale avesse qualcosa a che fare con Charles Taylor) e adesso si ritrova sulle barricate per la privacy e contro le misure di sanità pubblica. Ma “l’esaltazione, spesso retorica, strumentale ed enfatica, della dimensione pubblico-collettiva” non contrasta con la “critica veemente contro uno Stato che impedisce ai cittadini di scegliere in assoluta libertà e senza interferenze da parte dei poteri pubblici”, dal momento che quell’esaltazione è anti-pluralista, e dunque funziona a destra solo quando al governo c’è la destra, non coltivando quest’ultima la virtù intellettuale dell’accettazione dell’alternanza (e del resto questo rimprovero si potrebbe rovesciare pari pari sulla sinistra). E infatti, nei decenni scorsi, la libertà di scelta andava bene quando al governo c’erano Romano Prodi e Massimo D’Alema.

Insomma, la destra era e rimane anti-individualista quando è al governo, quando è contro le determinazioni personali in materia di identità sessuale o di scelte procreative, è comunitarista quando deve difendere un’idea di ‘nazione’ contro l’immigrazione. Ma rispolvera toni superomistici, anarchico-radicali quando al governo c’è qualcun altro (FdI) o quando ci si vuole presentare come opposizione permanente interna, quinta colonna (Lega). E non si tratta solo di ragioni di bassa macelleria politica e di capitalizzazione del dissenso rispetto al governo in carica.

Di fatto, l’assenza di un substrato comune di matrice liberale, sul quale la destra fa più fatica della sinistra, non consente di ragionare di misure condivise nella differenza delle impostazioni ideologiche. Del resto, come diceva Corrado Guzzanti a proposito della Casa delle Libertà?