Cinema

France, Lea Seydoux e il “cuore alienato di una giornalista”. Il regista Dumont: “Non ho voluto fare una critica dei media”

"Esiste un capitalismo cinico che non ha più il senso del denaro, che vive sulla luna tenendosi lontano dalla gente ordinaria e che governa, ad esempio l’industria televisiva. Il paradosso per questi ultimi, tra l’altro, sta proprio nel fatto che parliamo di uomini e donne molto acculturati, con grande sapere umanistico ma che agiscono per alienare il pubblico" dice l'autore a FQ Magazine

Emmanuel Macron e Angela Merkel nello stesso film. Il primo è il vero presidente francese in tutta la sua vuota retorica riformista. L’altra è una farlocca ex cancelliera di spalle con caschetto mentre osserva con un binocolino una montagna dai poteri rilassanti in una specie di clinica per persone esaurite. C’è poco da ridere, anche se le due apparizioni fanno ridere, perché il potere politico europeo neoliberista non ci fa una gran bella figura in France di Bruno Dumont, da giovedì 21 ottobre nelle sale italiane. Poi certo, l’undicesimo film dell’autore di Twentynine Palms, è un discorso cinematografico metafisico e complesso, giocato su una basculante, magmatica messa in scena del paradosso “volutamente falso ma che rappresenta qualcosa di vero”, con il primo elemento spinto all’eccesso dentro e attorno al teatrino professionale quotidiano della giornalista televisiva France De Meurs/Lea Seydoux (France proprio come se la Gruber di nome non facesse Lilli ma Italia, mentre De Meurs suona con una o tra la m e la tradotto sembra dei costumi).

France è giovane, affascinante, sospesa nella bolla di celebrità “assurda” dovutale da un’esposizione mediatica clamorosa. In video sorride gentile verso gli spettatori. A telecamere spente si sbraca di risate, odiando la gente che chiede di continuo dei selfie, confidandosi con la sua evanescente assistente per la quale tutto quello che France fa è geniale, fantastico, incredibile. Si comincia proprio all’Eliseo in una conferenza stampa di Macron e France a fare da scaltra e vuota provocatrice. Si passa ad una specie di cena di gala modello gruppo Bildelberg, dove assistiamo alla declamazione da parte di una Lagarde qualunque di un “nuovo ordine mondiale” con la finanza ad esautorare definitivamente la politica e le istituzioni pubbliche (nonché un ricco signore che spiega gli obiettivi degli abbienti capitalisti ovvero “dare, dare, dare”, fino a quando il signore nel parlare si strozza). Infine lo spregiudicato servizio in zona di guerra africana tra tuareg e Daesh con France regista sempre intenta a “costruire” come fosse cinema il suo servizio. Il tamponamento di un rider in mezzo alla strada e un politico “sovranista” che le vomiterà addosso in diretta tv banalità linguistiche e demagogia del giornalismo farà entrare France in crisi.

Non ho voluto fare una critica dei media, ma entrare nel cuore alienato della protagonista, di una giornalista che, come molti che fanno questo mestiere, assume la forma delle sue funzioni magari essendo altro. Non ho voluto nemmeno ritrarre la verità del mondo, ma osservare una metamorfosi all’interno di un mondo fatto da persone reali”, spiega Bruno Dumont a FQMagazine. “France ignora il futuro, il progresso, gli ideali, rifiuta le promesse politiche, si interessa solo della felicità del proprio presente. È un punto di vista filosofico influenzato dal pensiero di Charles Peguy, che andava oltre le grandi utopie del socialismo e del cattolicesimo, da cui avevo tratto il mio precedente film su Giovanna D’Arco”.

France è un’eroina impossibile che sembra echeggiare la tragicità della Bergman rosselliniana, anche se spesso nel film è come se France riflettesse la sardonica ironia di tutto il sottotesto politico, altamente esplosivo, proprio come quando una ricca signora alla cena Bilderberg incontra in bagno France e le chiede: “Ma lei è di destra o di sinistra?”. “Questa distinzione novecentesca non esiste più. Sono questioni che non hanno più significato. Esiste invece un capitalismo cinico che non ha più il senso del denaro, che vive sulla luna tenendosi lontano dalla gente ordinaria e che governa, ad esempio l’industria televisiva. Il paradosso per questi ultimi, tra l’altro, sta proprio nel fatto che parliamo di uomini e donne molto acculturati, con grande sapere umanistico ma che agiscono per alienare il pubblico”. Ed è proprio nella costruzione cinematografica estremamente finta del privato di France (l’appartamento scuro totalmente privo di proporzioni, gli sfondi fissi quando viaggia in automobile) e dell’immagine televisiva (la messa in scena dei drammi, perfino del barcone con i migranti) proposta al suo pubblico, che Dumont esagera magistralmente in un testa coda figurativo sorprendente: “C’è grande corrispondenza tra cinema e giornalismo tv, sono mondi vicini: coltivano la stessa venerazione del pubblico, ad esempio. Per questo ho voluto una popolare attrice di cinema come Lea Seydoux per farne una star del giornalismo tv. A livello personale seguo ovviamente l’informazione giornalistica, ma posso dire che ci sono buoni giornalisti e cattivi giornalisti al servizio di un’industria spesso perfino violenta. Del resto questa distinzione vale anche per il cinema o no?”.