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Suad Amiry con le sue opere racconta senza mai stancarsi la tragedia palestinese

Jaffa evoca aranceti e alberi di pompelmi, tanto che ogni volta che per protesta parte il boicottaggio di prodotti israeliani molti lo applicano rinunciando ai grandi frutti dalla buccia gialla. Jaffa è anche il teatro in cui nasce la grande storia d’amore narrata dall’ultimo libro di Suad Amiry: Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea, edito da Mondadori.

In parte siriana e in parte palestinese, docente universitaria, architetto e scrittrice Suad si è trovata a vivere da profuga tra Damasco, Amman, Beirut e il Cairo e ora trascorre le sue giornate tra l’Umbria, New York e Ramallah. L’ho conosciuta a Venezia in occasione di un incontro organizzato da Assopace Palestina per finanziare la ripartenza di due librerie di Gaza rase al suolo negli ultimi bombardamenti israeliani. Si tratta di Bookshope, iniziativa pensata con L’Arte del Vivere con Lentezza Onlus.

Suad Amiry si occupa di politica da molti anni, ha partecipato in qualità di negoziatrice a Washington ai colloqui che sono sfociati negli accordi di Oslo, architetto per caso, quando si è recata per la prima volta all’università avrebbe voluto iscriversi ad agraria, si descrive anche come scrittrice per caso poiché si trova a raccontare storie che la raggiungono nei modi più impensati, come quella del grande amore tra due adolescenti scoperta grazie all’attento orecchio di un tassista proprio di Jaffa. Nei romanzi della Amiri, la tragedia del popolo Palestinese è sempre lo sfondo ma anche la causa del racconto, come in Storia di un abito inglese e di una mucca ebrea in cui la promessa d’amore tra Subhi, che aspira a diventare il miglior meccanico in città, e la giovanissima e bellissima Shams viene stroncata dall’irruzione della Nakba, l’inizio dell’esodo dei palestinesi causato dal conflitto aperto dagli israeliani nel 1948.

Oggi siamo tutti presi dalla sorte del popolo afghano, dal destino delle sue donne, e come per effetto di una legge di Gresham (ricordate? la moneta cattiva scaccia quella buona) applicata alle tragedie, l’ultimo conflitto scaccia i precedenti nell’attenzione dei media e delle persone, così dopo i feroci scontri di pochi mesi fa, della situazione palestinese non si parla più, la racconta invece senza stancarsi Suad Amiry con i suoi libri e fortunatamente non è la sola in campo letterario.

In effetti se esiste ancora una speranza di venire a capo della sorte di 7 milioni di persone non è certo legata alla voce delle armi, ma alla cultura, come dice Suad Amiry, che a oltre 70 anni non smette di battersi anche con la penna contro l’ingiustizia, utilizzando spesso l’ironia (Sharon e mia suocera) un po’ come fece il vignettista Scalarini, che quando la polizia fascista irruppe in casa sua alla ricerca di una pistola mostrò la sua matita, l’unica arma di cui si serviva per colpire il Regime.