Economia

Evergrande rifinanziava vecchi debiti usando i soldi raccolti da piccoli investitori e dipendenti. Il gruppo tenta di calmare i mercati

Il gruppo ha annunciato che giovedì pagherà gli interessi agli obbligazionisti cinesi (ma non ha dato informazioni sui prestiti offshore). Intanto emerge che anche i fornitori venivano pagati con soldi raccolti promettendo rendimenti tra 7 e 12%. E chi investiva riceveva in regalo borsette firmate e purificatori Dyson. Per non far crollare del tutto la fiducia nel settore, banche di Stato e investitori potrebbero ora farsi carico della ristrutturazione del debito. Gli asset passerebbero di mano e il management attuale sarebbe falcidiato

Per ora i mercati tirano un sospiro di sollievo. Evergrande ha fatto sapere che giovedì 23 ripagherà 232 milioni di yuan (quasi 36 milioni di dollari) di interessi agli obbligazionisti cinesi. Una mossa che sembra lasciar intendere che qualche soldo in cassa ancora c’è, anche se il colosso immobiliare gravato da oltre 300 miliardi di debiti non ha dato notizie riguardo all’emissione in dollari su cui scadono interessi per oltre 83 milioni. A calmare le acque ha contribuito anche un aumento delle immissioni di liquidità da parte della Banca centrale cinese. In attesa di sviluppi, salta all’occhio un paradosso: la crisi di Evergrande e i rischi che diventi virale sono nati dai tentativi del governo cinese di sgonfiare le varie bolle che potrebbero destabilizzare l’economia. Tra il 2018 e il 2020, Pechino ha infatti emanato misure restrittive sul credito che hanno particolarmente colpito le imprese del mattone.

Prima un giro di vite contro il settore dei prestiti peer-to-peer (P2P), che sul finire degli anni Dieci contava almeno 6.000 imprese, di cui a metà 2020 ne restavano solo qualche decina. Attraverso il credito P2P si stima siano circolati negli anni circa 150 miliardi di dollari di prestiti, con il coinvolgimento di 50 milioni di investitori. Poi è arrivato l’attacco diretto nel 2020, con le tre “linee rosse” sul credito immobiliare. Proprio queste misure avrebbero indotto Evergrande a racimolare liquidità con tutti i mezzi disponibili, secondo quanto riporta Reuters. Sarebbero circa 80mila i piccoli investitori – “inclusi dipendenti, le loro famiglie e i loro amici, nonché proprietari di immobili Evergrande” – che sulla base della fiducia per la più dinamica impresa cinese del settore hanno comprato circa 40 miliardi di yuan (6 miliardi di dollari) dei suoi prodotti finanziari. L’hanno fatto in gran parte attraverso Evergrande Wealth, la piattaforma di prestito online lanciata nel 2016 che doveva finanziare le nuove costruzioni e che poi, si è scoperto, finiva invece per ripagare vecchi debiti accumulandone di nuovi.

Le storie che emergono in questi giorni sono sorprendenti: nella promozione in occasione del Natale 2020, chi avesse investito almeno 3 milioni di yuan nei prodotti finanziari Evergrande avrebbe ricevuto in regalo un purificatore d’aria Dyson o una borsetta di Gucci. Il Financial Times riporta invece la testimonianza di una donna di nome Xu, i cui genitori avrebbero comprato 200mila yuan (quasi 31mila dollari) di prodotti finanziari per garantirsi, con i rendimenti futuri, la possibilità di comprare costosi medicinali anti tumorali. È proprio l’assenza di un welfare solido che induce molti, in Cina, a investire nel mattone e nei suoi derivati, per avere un tesoretto utilizzabile nelle emergenze. Agli investitori nei prodotti finanziari Evergrande si promettevano infatti rendimenti sicuri che andavano dal 7 al 12 per cento. Un’altra donna di nome Chen racconta che sono stati i superiori di suo marito, dipendente Evergrande, a insistere affinché la sua famiglia investisse 100mila yuan (oltre 15mila dollari) attraverso due finanziarie poi sparite nel nulla. Sono questi i piccoli investitori che protestano ora sotto il quartier generale dell’immobiliare, a Shenzhen. Poi ci sono anche i fornitori, le banche, gli acquirenti di immobili che hanno già pagato.

In una sorta di schema Ponzi, questa liquidità veniva poi utilizzata per pagare le forniture (che ammontavano a 950 miliardi di yuan nella sola prima metà del 2021, cioè quasi 150 miliardi di dollari sui 309 del rosso di Evergrande) o i vecchi debiti già maturati con altri piccoli investitori. Senza che però si materializzasse il progetto immobiliare che avrebbe dovuto generare i rendimenti.

Quali scenari si prospettano? Per la stabilità sociale, che è la priorità del governo cinese, i primi da tranquillizzare sono proprio gli acquirenti di case che rischiano di non essere mai costruite. In un articolo per la rivista Caixin, la chief economist di UBS Investment Bank per la Cina e l’Asia, Wang Tao, scrive che “la consegna delle proprietà è la cosa più importante”. A ruota e strettamente collegato a questo obiettivo c’è il pagamento dei debiti ai fornitori. Wang pensa quindi che uno scenario possibile sia lo scorporo delle società di progetto dal resto del baraccone Evergrande. Se qualcuno pensa al vecchio spezzatino Alitalia – la parte redditizia ai “capitani coraggiosi”, la parte indebitata alla collettività – probabilmente ci va vicino. Certo, in questo caso con caratteristiche cinesi, per cui il flusso di cassa delle società di progetto potrebbe essere messo in un conto controllato dai governi locali – parte in causa nella corsa al mattone – per garantire la costruzione delle case e il pagamento delle forniture, pagamento che potrebbe anche consistere almeno in parte nella cessione di immobili. Insomma, il fattore “P”, la politica, a supervisione di un salvataggio in parte necessario proprio per non abbattere del tutto la fiducia nel settore immobiliare, il che genererebbe una reazione a catena.

A questo punto, banche di Stato e investitori dovrebbero farsi invece carico della ristrutturazione del debito di Evergrande, che in parte verrebbe decurtato d’ufficio e in parte dilazionato. Ovviamente, gli asset di Evergrande passerebbero di mano, rilevati probabilmente da una grande impresa di Stato o da un governo locale mentre – è implicito – l’attuale management sarebbe falcidiato. A partire dal boss di Evergrande, Xu Jiaying, che fino al 2020 era il terzo uomo più ricco di Cina e che è più noto come Pidai Ge (“fratello cintura di pelle”), da quando divenne virale una sua foto al Lianghui del 2012 – la doppia sessione dei parlamenti cinesi – in cui indossava una cintura con una vistosissima fibbia dorata. Xu, che ama farsi chiamare anche con il suo nome cantonese – Hui Ka Yan – rappresenta infatti alla perfezione l‘establishment cinese che andava per la maggiore fino a ieri, quando i più rappresentativi uomini d’affari venivano cooptati nella Conferenza Politica Consultiva. Ma oggi è tempo di gongtong fuyu, ricchezza condivisa, ed essere ultraricco non reca più con sé il dono dell’intoccabilità.