Economia & Lobby

Il crimine d’impresa e le disparità nel contestarlo: perché a Bologna sì e a Napoli no?

Sono passati 20 anni! Tanti. Era il lontano 8 giugno 2001 quando entrava in vigore il D.Lgs n.231/01. Una vera rivoluzione, si sgretolava uno dei principi millenari fondamentali del diritto penale: “societas delinquere non potest”. Da quella data anche le società, e non più solo le persone fisiche, potevano “delinquere”, o meglio, potevano rivestire il ruolo di indagato o di imputato nel corso di un procedimento penale. Pertanto, l’inevitabile conseguenza, “societas delinquere potest, sed semper puniri debet”, è l’applicazione di una sanzione a una società.

A questo punto è lecito chiedersi: come può la Alfa srl, società che gestisce una piccola azienda commerciale (ad esempio supermercati), essere considerata indagata o imputata con tutte le conseguenze che ne derivano, e quale sarebbe stato il ruolo del diritto penale, e quindi delle procure, dinanzi alle patologie del crimine di impresa? È lontano da chi scrive il voler ripercorrere la storia ventennale sia dottrinale che, soprattutto, giurisprudenziale caratterizzante questi primi venti anni di vita del Decreto Legislativo, oggetto di notevoli spunti e innovazioni.

Ciò non toglie che appaia sempre più rilevante analizzare questa situazione in base all’esperienza sul campo, con una sorta di resoconto dell’applicazione concreta e, soprattutto, della consapevolezza della sua rilevanza per i piccoli imprenditori che masticano con evidente difficoltà i presupposti e i principi della cosiddetta responsabilità amministrativa degli Enti. Conseguentemente è opportuno comprendere le cause di questa idiosincrasia.

Perché l’amministratore della Alfa srl fa fatica ad assumere consapevolezza dei rischi che corre? Mi sono confrontato al riguardo con l’avvocato Antonello Grassi, penalista e uno dei massimi esperti della materia, per verificare se le risposte che mi davo erano influenzate dalla mia visione più pragmatica di consulente di direzione.

Il primo intoppo al reale manifestarsi dei benefici insiti nel quadro normativo in questione è dato, così come già riportato su queste colonne, dal considerare l’adeguamento ai principi del D.Lgs. n.231/01 come un costo, un costo “superfluo”, o meglio, da procrastinare “a tempi migliori” e giustificato dalla necessità di dover affrontare spese più impellenti e rilevanti. A ciò si accompagnava una sorta di “scaramanzia normativa” rappresentata dal timore della commissione di reati, ovvero dall’“offesa” che potesse lontanamente immaginarsi che la società intervistata potesse delinquere.

Perché lo proponi proprio a me? Forse perché presumi che io commetta qualche reato? Risultava difficile far comprendere all’imprenditore, fortunatamente non a tutti, la necessità di spostare il margine di rischio dalla repressione, con tutte le conseguenze che ne derivavano e ne derivano, alla prevenzione. Lo consiglio a te proprio per evitare che tu possa commettere reati in futuro!

Il secondo limite è di natura geografica. E le statistiche sono chiare. Le prime contestazioni ex D.Lgs. n.231/01 nascevano nel famoso triangolo industriale allocato a Nord della nostra penisola. Il motivo non era neanche troppo difficile da prevedere o immaginare ed era rappresentato dall’esistenza del cosiddetto “maggese industriale” prevalentemente in quella zona strategica. E ancora oggi, dopo venti anni, il rapporto è 100 a zero. Non è un caso che soprattutto (o solo) le Procure competenti per territorio della Lombardia, del Veneto, del Piemonte e in parte della Liguria e della Emilia Romagna, continuino a contestare alle società/aziende, in coerenza con l’elenco dei reati presupposti che man mano si infoltivano, fattispecie penali in concomitanza con la contestazione delle medesime alle persone fisiche.

Le Procure, sì, le Procure! Per quanto il legislatore non si sia mai spinto oltre la configurazione di tale responsabilità come amministrativa, non pare dubbio, anche in questo caso senza voler disquisire sulla natura della stessa, che di fatto il campo applicativo fosse rappresentato dal procedimento e dal processo penale. E nel processo penale l’input, o come sarebbe meglio definirlo l’esercizio dell’azione penale, spetta alla Procura della Repubblica che, proprio con riferimento alla criminalità d’impresa, ha smarrito il principio della sua obbligatorietà. E allora perché la procura di Bologna contesta anche alle piccole società i reati previsti dal decreto e quella di Napoli ancora no?

Probabilmente per una analisi sociologica da parte delle procure del contesto in cui operano. La differente incidenza delle contestazioni operate dalle Procure del Nord Italia rispetto a quelle del Sud trova la sua ratio proprio nella difficoltà di prevedere le drastiche conseguenze in capo a un tessuto imprenditoriale presente nel meridione d’Italia, senza dubbio più fragile.

Siamo alle solite: ma fino a quando può durare questa disparità di trattamento? Perché le piccole imprese non ne approfittano per regolarizzare le loro posizioni prima che anche le procure del Sud si sveglino?