Cronaca

Pedofilia nel clero, il mea culpa nel Sinodo dei vescovi: ‘Per troppo tempo quello delle vittime è stato un grido che la Chiesa non ha ascoltato’

Nel documento preparatorio sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione” si legge: "Non possiamo dimenticare la sofferenza vissuta da minori e persone vulnerabili a causa di abusi sessuali, di potere e di coscienza commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate"

Un nuovo mea culpa per la pedofilia del clero. È quanto si legge nel documento preparatorio del Sinodo dei vescovi sul tema “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”. “Non possiamo nasconderci – afferma il testo – che la Chiesa stessa deve affrontare la mancanza di fede e la corruzione anche al suo interno. In particolare non possiamo dimenticare la sofferenza vissuta da minori e persone vulnerabili a causa di abusi sessuali, di potere e di coscienza commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate. Siamo continuamente interpellati come popolo di Dio a farci carico del dolore dei nostri fratelli feriti nella carne e nello spirito: per troppo tempo quello delle vittime è stato un grido che la Chiesa non ha saputo ascoltare a sufficienza. Si tratta di ferite profonde, che difficilmente si rimarginano, per le quali non si chiederà mai abbastanza perdono e che costituiscono ostacoli, talvolta imponenti, a procedere nella direzione del camminare insieme”.

Nel documento, la Santa Sede ribadisce che “la Chiesa tutta è chiamata a fare i conti con il peso di una cultura impregnata di clericalismo, che eredita dalla sua storia, e di forme di esercizio dell’autorità su cui si innestano i diversi tipi di abuso (di potere, economici, di coscienza, sessuali). È impensabile una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del popolo di Dio: insieme chiediamo al Signore la grazia della conversione e l’unzione interiore per poter esprimere, davanti a questi crimini di abuso, il nostro pentimento e la nostra decisione di lottare con coraggio”. Papa Francesco ha voluto un processo sinodale che durerà due anni e si concluderà nell’ottobre 2023 con il Sinodo dei vescovi che si terrà in Vaticano. Dal 9 ottobre prossimo inizierà quello diocesano a Roma, che sarà aperto da Bergoglio, e successivamente in tutte le chiese particolari. I contributi che arriveranno dalle diocesi di tutto il mondo serviranno come base di lavoro per l’assemblea conclusiva. Il documento preparatorio sottolinea “il desiderio di protagonismo all’interno della Chiesa da parte dei giovani, e la richiesta di una maggiore valorizzazione delle donne e di spazi di partecipazione alla missione della Chiesa, già segnalati dalle assemblee sinodali del 2018 e del 2019. In questa linea vanno anche la recente istituzione del ministero laicale del catechista e l’apertura alle donne dell’accesso a quelli del lettorato e dell’accolitato”.

Il testo si sofferma anche sull’attuale scenario mondiale: “Una tragedia globale come la pandemia da Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti: ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme. Al tempo stesso la pandemia ha fatto esplodere le disuguaglianze e le inequità già esistenti: l’umanità appare sempre più scossa da processi di massificazione e di frammentazione; la tragica condizione che i migranti vivono in tutte le regioni del mondo testimonia quanto alte e robuste siano ancora le barriere che dividono l’unica famiglia umana”.

La Santa Sede denuncia, infine, che “accanto a Paesi in cui la Chiesa accoglie la maggioranza della popolazione e rappresenta un riferimento culturale per l’intera società, ce ne sono altri in cui i cattolici sono una minoranza; in alcuni di questi i cattolici, insieme agli altri cristiani, sperimentano forme di persecuzione anche molto violente, e non di rado il martirio. Se da una parte domina una mentalità secolarizzata che tende a espellere la religione dallo spazio pubblico, dall’altra un integralismo religioso che non rispetta le libertà altrui alimenta forme di intolleranza e di violenza che si riflettono anche nella comunità cristiana e nei suoi rapporti con la società. Non di rado i cristiani assumono i medesimi atteggiamenti, fomentando le divisioni e le contrapposizioni anche nella Chiesa. Ugualmente occorre tenere conto del modo in cui si riverberano all’interno della comunità cristiana e nei suoi rapporti con la società le fratture che percorrono quest’ultima, per ragioni etniche, razziali, di casta o per altre forme di stratificazione sociale o di violenza culturale e strutturale. Queste situazioni hanno un profondo impatto sul significato dell’espressione camminare insieme e sulle possibilità concrete di darle attuazione”. Per questo motivo, si sottolinea che “la capacità di immaginare un futuro diverso per la Chiesa e per le sue istituzioni all’altezza della missione ricevuta dipende in larga parte dalla scelta di avviare processi di ascolto, dialogo e discernimento comunitario, a cui tutti e ciascuno possano partecipare e contribuire. Al tempo stesso, la scelta di camminare insieme è un segno profetico per una famiglia umana che ha bisogno di un progetto condiviso, in grado di perseguire il bene di tutti. Una Chiesa capace di comunione e di fraternità, di partecipazione e di sussidiarietà, nella fedeltà a ciò che annuncia, potrà mettersi a fianco dei poveri e degli ultimi e prestare loro la propria voce”.

Twitter: @FrancescoGrana