Calcio

Simpatico, la docuserie Dazn su Moratti e l’Inter è una bella sorpresa

Mentre tutta l’attenzione è concentrata sui problemi di natura tecnologica che il nuovo modello di trasmissione delle partite di campionato ha creato, Dazn ci riserva una bella sorpresa, un contenuto fuori dall’ambito delle sue chiacchieratissime dirette, nella sua offerta on demand. Si tratta della prima docuserie prodotta in Italia dall’emittente, tre puntate di mezz’ora ciascuna dedicate a Massimo Moratti e alle alterne, intricate, entusiasmanti vicende vissute alla presidenza della seconda squadra di calcio milanese, l’Internazionale (seconda per data di nascita… si intende).

Il titolo della serie – Simpatico. L’ultimo dei romantici – rivela fin dall’inizio l’atteggiamento scelto dagli autori, Emanuele Corazzi, a cui si deve l’idea e la scrittura, e una folta équipe: Alessandro Buonomo, Francesco Palma, Luigi Montanaro, Giampaolo Cattaneo Sala, Dario Di Noi. Una scelta celebrativa, encomiastica, diffusa ancor più che nel dialogo con Moratti, nelle dichiarazioni dei “suoi” calciatori: Dejan Stankovic, Nicolas Burdisso, Samuel Eto’o e dei “suoi” allenatori, Mancini e Mourinho. Poiché sono tifoso dell’altra squadra milanese (la prima, sempre per nascita si intende…), non riesco a condividere in pieno il pathos e la dimensione epica che pervadono tutto un racconto di “dolor y gloria”: una parabola eroica che parte da una dolorosa sconfitta (il 5 maggio 2002) per arrivare all’apoteosi (la conquista della Champions 2010).

Tuttavia, non posso non apprezzare il valore e l’originalità del prodotto, che si distingue nettamente dalla linea oggi prevalente nella narrazione dello sport, delle sue storie e dei suoi eroi, quella portata avanti con successo e qualità da Buffa, Porrà e Marani su Sky. Se nelle produzioni di questi valenti narratori ciò che più risalta è la parola, la dimensione letteraria del racconto e la maestria giornalistica, nel lavoro di Corazzi e compagni a colpirci sono soprattutto le immagini. Immagini eleganti, piene di fascino come quelle della residenza morattiana quasi avvolta dalle guglie del Duomo o quelle delle strade di Madrid il giorno della finale contro il Bayern; immagini rare, mai viste, private, intime come quelle girate sull’aereo al rientro da Madrid e all’arrivo in aeroporto; immagini di campo che illustrano con assoluta puntualità le parole degli intervistati, brani di partite di tanti anni fa, ormai sbiadite nella memoria e che testimoniano il grande lavoro di ricerca archivistica degli autori.

Inoltre. a fare della serie un prodotto originale c’è la sua drammaturgia, una struttura narrativa singolare: un racconto non lineare, ma in cui ogni puntata si sviluppa a partire da una data simbolica. Nella prima è il celebre 5 maggio, nella la seconda un dimenticato 9 gennaio 2005, un incontro casalingo con la Samp in cui l’Inter rimonta dallo 0 a 2 al 3 a 2 nei minuti finali, partita insignificante per il campionato ma fondamentale per il gruppo manciniano e l’identità della squadra. Infine. nella terza puntata ovviamente c’è la notte di Madrid a fare da punto centrale. A partire da queste date il tempo scorre, sottolineato da una grafica tanto didascalica quanto utile, in avanti e soprattutto indietro, in ampi, intensi flashback che rievocano l’acquisto di Ronaldo o le vittorie paterne dell’Inter di Herrera e Mazzola.

Ma a deliziarci più d’ogni altra cosa ci sono i testimoni, le loro parole. Ancor più dello stesso Moratti, che nell’intervista alterna momenti di viva partecipazione a qualche comprensibile ritrosia, ancor più di chi con le parole lavora quotidianamente (Pardo, Gino e Michele), a stupire sono i discorsi dei calciatori. Abituati come siamo alle banalità, alle frasi fatte e imparate a memoria che di solito i calciatori ci ammanniscono nelle interviste, si resta incantati di fronte all’autenticità ruspante ma mai compiaciuta di Stankovic, alle analisi razionali di Trezeguet, alla delicatezza dei ricordi di Burdisso, alla correttezza e alla proprietà del loro linguaggio.

L’Oscar, anzi il César, per la miglior interpretazione va a Samuel Eto’o: oltre alla suggestione degli aneddoti narrati, un francese così elegante non lo ascoltavo dal tempo dei discorsi di Mitterrand.