Società

Vaccini ai giovani, il dubbio come libertà d’espressione

Rivoglio i miei dubbi, anche quando ho scelto, comunque, di coltivarli. Ho smesso con le opinioni inossidabili dei medici da tv, dei politici da corsia, degli opinionisti sanitari. Ho smesso di ascoltare le opinioni scientifiche, perché la fiducia nella scienza non ha nulla a che vedere con l’opinione preferita che vuoi sentirti dire. Ho smesso di tifare da tempo e diffido dei politici dalla teoria facile o scienziati dalla comparsata compulsiva. Non ascolto nemmeno i generali colorati, anche se il popolo è più facile soldatino che cittadino. Il disordine della comunicazione ha reso facile dividersi in fazioni, speranze alla mescita per tutti. Di me, che ho fatto cinquant’anni pochi mesi fa, ho deciso: perdere peso, riprendere a camminare, vaccinarmi e bene che mi vada muoio comunque (ma non ora).

Il 6 agosto è entrato in vigore il green pass e la possibilità che possa estendersi ai più giovani, poi open day dai 12 ai 18 anni, vaccinazione last minute, sanità booking, orgoglio post-olimpico, ipotesi under 12. Avanzano ancora i grandi non vaccinati, che vanno protetti dalla “variante/bambino”: se i grandi non fan la loro parte “costringiamo” i minorenni. Torneremo a cantare un inno nazionale e ci sentiremo fratelli… (“genitori d’Italia” quando?)

Ho affidato i miei figli a una persona: il pediatra. Mi fido di lui dal primo giorno di nascita, perché cambiare idea proprio adesso? Chiedo a lui e finisce qui. Ho fatto la cosa giusta? Mi rassicura, dice che va protetta la loro socialità, di più: va salvata. Allora ho deciso, ma non mi sono fatto prendere dal dolore di non poter andare al ristorante, non chiedevo lo scontrino perché partecipavo alla lotteria, non mi sono fatto prendere dall’emozione per decidere se vaccinare o no i miei figli.

Ho deciso, sebbene non basterà il pediatra a levarmi il tarlo, perché “salvarne la socialità” non era l’idea che m’ero fatto di un farmaco. Allora, qualunque decisione presa, vorrei sentirmi libero di avere dubbi, per non assuefarmi all’obbedienza emotiva, perché qualunque cosa decida non sia finita nel momento in cui ho deciso, ma si ostini a interrogarmi sempre, difendendo il diritto al dubbio senza che questo sia usato contro di me per farmene una colpa.