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Afghanistan, le Ong italiane al governo: “Non si parla dei 300 operatori afghani che hanno lavorato con noi: portare in salvo anche loro”

Silvia Stilli, la portavoce dell'associazione Aoi, sottolinea la delusione per la decisione di mettere in salvo solo i collaboratori afghani delle missioni militari cui ha partecipato l'Italia: "Abbiamo una lista di 300 operatori, l'abbiamo consegnata alla Difesa"

Non solo chi ha collaborato alle missioni militari. L’associazione delle ong italiane (Aoi) chiede che anche gli operatori afghani di ong italiane siano portati al di fuori del Paese. “Siamo rimasti molto negativamente colpiti dal fatto che si è sottolineato per una settimana l’evacuazione del personale afghano che aveva lavorato coi contingenti militari e diplomatici e non si è parlato di quello che aveva lavorato con le organizzazioni non governative”, ha detto Silvia Stilli, la portavoce Aoi, all’Adnkronos/Labitalia. Il premier Mario Draghi infatti ha finora garantito solo l’impegno a “proteggere i cittadini afghani che hanno collaborato con la nostra missione”.

Per questo motivo, spiega Stilli, “abbiamo preparato una lista di 300 operatori. Lista che hanno in mano sia la Difesa sia il contingente Tuscania. Luca Lo Presti di Pangea Onlus ha tenuto i rapporti sia con il consigliere diplomatico a Kabul sia con il battaglione Tuscania per organizzare l’evacuazione. Io la sto inviando alla viceministra Sereni che la deve vedere con il ministro Luigi di Maio, perché ci deve essere un allineamento Interni-Difesa-Maeci. E per questo oggi lanceremo un appello di tutte le ong”. Oltre all’appello, ha proseguito Stilli, “le rappresentanze delle ong scriveranno al Maeci una lettera per avere garanzie specifiche su questo personale“.

Difficile quantificare quanti sono gli operatori e i partner afghani che devono essere portati al sicuro: “Anche perché non tutto vogliono venire via, molti vogliono rimanere. Ma io penso diverse migliaia. Solo da parte italiana arriveremo a circa 1.000“. Si tratta, ha concluso la portavoce Aoi, di “operatori di ong o partners particolarmente esposti al rischio della vendetta talebana perché hanno lavorato, ad esempio, nel cinema, nello sport e nei media”.