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Afghanistan, i Talebani conquistano Farah: ora controllano il 65% del Paese. Gli Usa: “Governo al potere con la forza non sarà riconosciuto”

La guerriglia e i combattimenti durano da oltre una settimana e ostacolano l'accesso all’assistenza sanitaria, aumentando il numero di persone uccise e colpite da proiettili ed esplosioni e causando ovunque sfollati. Scontro tra Kabul e l'Ue sullo stop ai rimpatri forzati dei migranti: Bruxelles precisa che i rifugiati afghani che tornano nel Paese lo fanno volontariamente in 4 casi su 5

“Oggi i Talebani sono entrati nel centro della città, hanno conquistato la sede del governatore e il quartier generale della polizia”. Ad affermarlo è Shahla Abubar, componente del consiglio provinciale di Farah. Con la caduta della città – l’ultimo capoluogo provinciale conquistato dai talebani – ammonta a circa il 65% la percentuale di territorio afghano sotto il controllo degli insorti, la cui offensiva ha coinciso con il ritiro delle truppe Usa e Nato dal Paese. Ma dagli Stati Uniti fanno sapere che “qualsiasi governo che in Afghanistan conquisti il potere con la forza non sarà riconosciuto dalla comunità internazionale”. Nel frattempo è tornato a Doha, in Qatar, il rappresentante speciale Usa per la riconciliazione in Afghanistan, Zalmay Khalilzad, per una missione di tre giorni che punta – come ha confermato il Dipartimento di Stato – a “formulare una risposta congiunta internazionale alla situazione in rapido peggioramento”, a convincere i Talebani a porre fine all’offensiva e a negoziare un accordo politico. Gli Stati Uniti, inoltre, fanno sapere che continueranno a fornire al governo di Kabul appoggio aereo e sostegno nella lotta al terrorismo. Il segretario alla Difesa Lloyd Austin ha dichiarato che Washington proseguirà ad “appoggiare” le forze afghane “dove e quando sarà possibile”, perché “non sempre sarà fattibile”. Questo appoggio comprende attacchi aerei e antiterrorismo, ha aggiunto il portavoce del Pentagono, John Kirby, ribadendo come secondo Austin “le forze afghane abbiano la capacità di fare una grande differenza sul campo di battaglia”.

La guerriglia e i combattimenti durano da oltre una settimana e ostacolano l’accesso all’assistenza sanitaria, aumentando il numero di persone uccise e colpite da proiettili ed esplosioni, e causando ovunque sfollati. “La situazione nel Paese si sta deteriorando al punto che in alcune città, come Lashkar Gah e Kunduz, le strutture sanitarie si trovano sulla linea del fronte”, spiega Laura Bourjolly, responsabile affari umanitari di Medici senza Frontiere in Afghanistan. “Le équipe di Msf continuano a curare pazienti in tutti i progetti in condizioni difficili, e abbiamo adattato le nostre attività mediche per far fronte ai bisogni più urgenti della popolazione”. Il rumore della guerra incombe giorno e notte sul personale medico, ma tutti i reparti dell’ospedale di Boost sono ancora operativi. La scorsa settimana le équipe di Msf hanno trattato “numerosi feriti di guerra e hanno eseguito 20 interventi chirurgici in un solo giorno”, si legge in una nota. Ora molte persone sono fuggite dalla città e negli ultimi giorni Msf ha assistito ad una significativa riduzione nel numero di pazienti che si recano in ospedale per ricevere cure. Alcune hanno cercato sicurezza in aree urbane e vivono in insediamenti informali con scarso accesso a bisogni essenziali come cibo, ripari e assistenza medica.

Come se non bastasse c’è un altro fronte su cui si consuma un duro scontro: è quello che vede il governo di Kabul opposto all’Unione europea sulle operazioni di rimpatrio dei migranti che dall’Afghanistan raggiungono il Vecchio continente. La decisione delle autorità afghane di sospendere le operazioni di rimpatrio dei migranti per tre mesi, però, riguarda solo i “rimpatri forzati“, quelli volontari sono ancora consentiti: lo si apprende da fonti ufficiali di alto livello di Bruxelles, che precisano come l’80% dei rimpatri siano volontari e i rifugiati afghani che hanno fatto ritorno al proprio Paese siano stati già 1200 quest’anno. “Continuiamo una collaborazione molto stretta con le autorità”, ha spiegato la fonte, aggiungendo che la Germania e altri Paesi hanno già sospeso queste operazioni e che l’Ue non si aspetta che ci saranno rimpatri forzati in ogni caso. “La situazione complessiva dell’arrivo dei richiedenti asilo è abbastanza buona, gli ingressi irregolari (negli altri Paesi) sono al punto più basso dal 2015, con 4000 ingressi registrati dal primo gennaio, il 25% in meno rispetto al 2020″, ha aggiunto l’esperto Ue. Evidenziando, infine, come la maggior parte dei rifugiati afghani si trovi in Pakistan (3,5 milioni) e in Iran (3 milioni). “Ci sono chiari sforzi al momento per provare a incrementare la capacità di reinsediamento nell’Ue, ma dipende dagli Stati membri decidere quante persone voglio ricollocare”, ha concluso.