Diritti

Io sono/I am, in mostra al Mudec i ritratti con le storie dei richiedenti asilo arrivati in Italia. “In loro non c’è commiserazione, solo forza”

Venti vite diverse, terribili e accomunate da un obiettivo: raggiungere le coste italiane. I volti sono fotografati su sfondo nero, un fascio di luce puntato contro, in mano un oggetto di uso comune. "Non erano né sconvolti né atterriti dal futuro, come immaginavo, ma solo pronti a darsi da fare per assicurare serenità a sè stessi e alle loro famiglie", racconta la fotografa Luisa Menazzi Moretti

C’è la storia di Paul Gomez, scappato dal Gambia e dalle violenze della zia, rinchiuso nelle carceri libiche rischiando di morire di fame. Quella di Said Elshazy, egiziano, portato a tredici anni in un campo per minori a Mazara del Vallo. E quella di Ariam Keflu, eritrea, costretta a nascondere le fede cristiana in sei anni di addestramento militare: e tante altre. Le venti vite raccontate dalla mostra fotografica Io sono/I am, allestita nella penombra dello Spazio delle culture Khaled al-Asaad del Mudec – il Museo delle culture di Milano – sono diverse, terribili e accomunate da un obiettivo: raggiungere le coste italiane. Ideata nel 2017 da Luisa Menazzi Moretti, fotografa e artista, con la collaborazione di Foqus – Fondazione Quartieri Spagnoli, promossa da Città della Pace per i Bambini – Basilicata e da Cooperativa Il Sicomoro, Io sono/I am comprende venti ritratti fotografici di rifugiati e richiedenti asilo provenienti da 16 nazioni diverse (Afghanistan, Pakistan, Siria, Nepal, Gambia, Nigeria, Senegal, Egitto, Congo, Mali, Costa d’Avorio, Eritrea ed Etiopia) e accolti in Italia dalle strutture Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo) della Basilicata.

I volti dei profughi colpiscono nella semplicità con cui vengono rappresentati. Sfondo nero alle spalle, un fascio di luce puntato contro, abiti ordinari e l’esposizione di un oggetto di uso comune (una pentola, un mazzo di chiavi, un libro, un bastone…) diverso per ogni protagonista, che possiede un significato simbolico di testimonianza di ciò che è stato, che è e che vorrà diventare. Accanto ai ritratti è esposto un libro-didascalia, che sulla copertina porta, per ognuno, un titolo, una fotografia e un breve racconto della storia. “Questo progetto non mi è stato commissionato da nessuno, è un’idea spontanea“, spiega l’autrice, Luisa Menazzi Moretti, al fattoquotidiano.it. “Tra il 2016 e il 2017 ho conosciuto persone che lavoravano per la fondazione Città della Pace per i Bambini, e che gestivano alcuni Sprar in Basilicata assieme a dei richiedenti asilo. Ciò mi ha portata a voler saperne di più, scoprire le loro storie: così ho chiesto ad alcuni di loro di raccontarmi della loro vita prima di arrivare in Italia”.

“Ciò che li contraddistingue – prosegue – è la voglia di riscatto e il desiderio di migliorarsi di giorno in giorno, sia nel lavoro che nel volontariato. Grazie a questo progetto ho capito che queste persone non erano né sconvolte né atterrite dal futuro, come immaginavo, ma solo pronti a darsi da fare per assicurare serenità a sè stessi e alle loro famiglie. Lo dimostra anche l’atteggiamento nei confronti della fotografia: loro, e soltanto loro, hanno deciso come mettersi in posa, con che oggetti farsi rappresentare, cosa raccontare e cosa omettere delle loro vite”. La loro intera esistenza, spiega, “è stata accompagnata dal tema della morte, che alla fine, sono riusciti a lasciarsi alle spalle: in loro non c’è commiserazione, ma forza“. Premiata nel 2017 all’International Photography Awards di New York, dopo Matera, Lecce, Napoli e Potenza, la mostra ha fatto il suo approdo a Milano dov’è visitabile – gratuitamente – fino al 1° agosto 2021 presso il Mudec, in via Tortona 56.