Giustizia & Impunità

Scandalo Vaticano, la “dama del cardinale” trascorse la notte al palazzo del Sant’Uffizio anche quando le indagini erano già note

I magistrati: "Difficile immaginare che Cecilia Marogna effettivamente abbia dovuto spendere così tante somme di denaro in generi di lusso per liberare ostaggi nelle mani di pericolosissime bande criminali internazionali"

Un mandato al quale non sono seguiti incarichi formali, ma tanti, tantissimo soldi. Spese pazze, presunti riscatti da pagare per liberare suore rapite e intermediazioni con bande criminali. E infine pure una notte trascorsa al palazzo del Sant’Uffizio anche dopo che le indagini sulla signora erano note. Sono solo alcuni degli elementi raccolto dagli inquirenti vaticani a proposito dei rapporti tra la cosiddetta “dama del cardinale“, Cecilia Marogna e il cardinale stesso, Angelo Becciu, che sabato 3 luglio è stato rinviato a giudizio in Vaticano insieme ad altre 9 persone per lo scandalo della gestione dei fondi della Santa Sede.

Una foto pubblicata su Facebook rischia di incastrare la manager cagliaritana nota appunto come la “dama del cardinale” per il suo rapporto fiduciario con l’ex Sostituto, alla quale, nella citazione a giudizio del Tribunale vaticano viene contestato il peculato. Si tratta dell’immagine che la ritrae, scrivono i magistrati, in “un lussuosissimo albergo delle alpi italiane” che la Marogna ha pubblicato sul suo profilo Fb il 31 agosto 2019, che testimonierebbe, secondo gli inquirenti, “una vacanza a spese della Segreteria di Stato, come documenta l’estratto del conto della Logsic Doo” riportato negli atti.

Le indagini sulla Marogna erano state avviate sulla base di una segnalazione della polizia slovena fatta pervenire alla Gendarmeria dalla Nunziatura di Lubjana che riguardava la sua società con sede proprio in Slovenia, la Logsic Doo. Come emerso dagli accertamenti bancari, i due conti correnti della Logsic risultavano alimentati da nove bonifici emessi dalla Segreteria di Stato per 575.000 euro. Risorse che sarebbero state utilizzate, “nella quasi totalità”, per effettuare acquisti di lusso “non giustificabili con l’oggetto sociale della stessa Logsic. Né, tantomeno, con il vincolo di destinazione impresso alle disponibilità della Segreteria di Stato”, secondo i magistrati.

La Marogna, che a Report ha dichiarato di essere stata remunerata per attività di intelligence su incarico della Segreteria di Stato, “ha affermato di avere avuto contatti preziosissimi con bande di criminali internazionali, addirittura appartenenti ad Al-Qaeda, per liberare ostaggi di sequestri di persona a scopo di estorsione”, si legge nelle carte dell’inchiesta dove si ricorda che sul punto, anche il cardinale Becciu aveva opposto il segreto di Stato. Tuttavia, evidenziano gli inquirenti, pur non considerando il fatto che la Marogna “abbia ritenuto di poter candidamente affermare dinanzi ad una televisione di svolgere attività – quelle di mediazione nei sequestri di persona – che, in Italia, sono vietate dalla legge“, per i magistrati vaticani “resta difficile immaginare che effettivamente abbia dovuto spendere così tante somme di denaro in generi di lusso per liberare ostaggi nelle mani di pericolosissime bande criminali internazionali”.

Gli inquirenti dunque ricorrono all’analisi delle movimentazioni bancarie, da cui risultano “oltre 120 pagamenti in negozi come Prada, Tod’s Hogan, Missoni, la Rinascente, Montblanc, Louis Vuitton, Maxmara, Poltronesofa, Auchan, in prestigiosi alberghi come l’Hotel Bagni nuovi, Hotel Cervo, lussuosi centri termali come Qc terme San Pellegrino e ristoranti, come Poseidon presso il Tueredda beach e Niu restaurant, tanto per rimanere alle spese più significative” e “prelievi in contanti per un importo complessivo di 69.000 euro”.

Nel decreto di citazione a giudizio si richiamano poi “risultanze investigative emerse nell’ambito di altro procedimento penale pendente”, dalle quali “si ricava che le somme di denaro trasferite dalla Segreteria di Stato alla Logsic (della Marogna, ndr) avrebbero dovuto alimentare una sorta di fondo da impiegare per la liberazione di una suora colombiana rapita da organizzazioni criminali straniere”. Sulla vicenda della liberazione della suora colombiana, nelle carte vengono riportate alcune conversazioni WhatsApp tra Becciu, il capo dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato mons. Alberto Perlasca e il funzionario laico Fabrizio Tirabassi.

È il 20 dicembre 2018 quando Becciu scrive a Perlasca: “Ti ricordi questione suora colombiana? Pare che qualcosa si muova e il mediatore deve aver subito a disposizione i soldi. Li inviamo però a diverse tranche sul conto che più sotto ti indicherò. Primo bonifico: 75000 euro intestato a Logsic doo Causale: voluntary contribution for a humanitarian mission”. In un altro messaggio a Perlasca Becciu alluderebbe al fatto che il trasferimento di fondi fosse stato autorizzato dal Papa: ”Ti ricordo che ne ho riparlato con il SP e vuole mantenere le disposizioni già date e in gran segreto”, ricevendo la risposta “ok per suora”.

Dalle investigazioni è emerso anche che immediatamente dopo lo scambio di messaggi, Perlasca avrebbe inoltrato l’Iban di Logsic a Tirabassi e che analoghe conversazioni tra Becciu e Perlasca e Perlasca e Tirabassi avrebbero avuto luogo anche in occasione della disposizione degli altri bonifici che hanno costituito il deposito della società Logsic doo (avvenuti in data 10-1-2019, 28-2-2019, 24-4-2019, 8-7-2019). Secondo gli inquirenti “si può, dunque, concludere con una certezza che esclude ogni possibile ragionevole dubbio, che la Segreteria di Stato ha versato alla Logsic doo somme per finalità istituzionali che, invece, sono state impiegate per finalità del tutto differenti“.

In effetti Becciu il 17 novembre 2017 aveva sottoscritto un documento, su carta intestata della Segreteria di Stato, in cui affermava “di conoscere la Signora Cecilia Marogna e di riporre in Lei fiducia e stima per la serietà della Sua vita e della Sua professione” attestando che la manager cagliaritana prestava “servizio professionale come analista geopolitico e consulente relazioni esterne per la Segreteria di Stato – Sezione Affari Generali”. Anche se, notano gli inquirenti, “in verità non sono emerse le attività che la sig.ra Cecilia Marogna avrebbe svolto in esecuzione del mandato ricevuto da Ser Angelo Becciu”.

“Quando rividi il Cardinal Becciu, nel mese di settembre durante una cena presso il ristorante Lo Scarpone – dice poi monsignor Perlasca agli inquirenti in un interrogatorio agli atti -, informai il Cardinale sul fatto che i magistrati erano a conoscenza compiutamente della faccenda Cecilia Marogna-suora. Chiesi allo stesso se ci fossero state nel frattempo novità e di tutta risposta replicò che sarebbe stata una storia ancora molto lunga anche tre quattro anni al che replicai che ciò nonostante i soldi già da tempo li avevamo dati. Il Cardinale in quell’occasione mi disse che per tutta l’operazione avevano chiesto molti più milioni di euro e che lui si era impegnato solo per il contributo per il riscatto”.

Dagli accertamenti condotti dalla Gendarmeria vaticana a seguito di un’informativa da parte dell’Aif su movimentazioni ritenute sospette, in meno di 22 mesi, tra il 9 gennaio 2018 e il 16 ottobre 2020, la Marogna avrebbe depositato in contanti la somma di 103.000 euro sui conti correnti riferibili alla Logsic doo e suoi personali. L’attenzione degli inquirenti d’Oltretevere si è concentrata in particolare su due versamenti effettuati allo sportello automatico di Intesa San Paolo – filiale Roma Porta Angelica: uno da 4mila euro del 4 settembre 2018 e uno da mille euro del 17 settembre successivo.

In relazione al primo versamento i magistrati evidenziano un collegamento tra “l’urgente bisogno di 14.150 euro richiesto dal Cardinal Becciu” via whatsapp a Monsignor Perlasca e la presenza a Roma e il successivo versamento in contanti effettuato da Cecilia Marogna presso la filiale ubicata esattamente fuori le mura vaticane. Nelle carte si cita il testo del messaggio di Becciu a Perlasca, inviato il 3 settembre alle ore 22:47:39: “Senti avrei bisogno urgente di euro 14.150 per iniziare la famosa operazione. Potresti dare istruzioni a Giachetta perché me li dia? Ti spiegherò a voce il tutto”. La mattina successiva, quindi il 4-9-2018, alle ore 06:39:54, Perlasca risponde: “Fatto. Buona giornata”.

“Dalle evidenze emerse – sottolineano i magistrati vaticani – risulterebbe del resto che la busta contenente il denaro contante sia stata consegnata al Cardinal Becciu prima delle ore 10:00″ e che “in quella stessa data, 04-09-2018, alle ore 11:32 circa, Cecilia Marogna effettuava il citato versamento in contanti, con banconote di grosso taglio per un importo complessivo di 4.000 euro, presso la filiale di Intesa San Paolo in via di Porta Angelica”. Gli inquirenti tra l’altro sottolineano come i bonifici che la Segreteria di Stato dispone a favore della Logsic doo per le somme sulle quali viene contestato il peculato, avrebbero origine il 20 dicembre 2018, “quindi quando il Cardinal Becciu aveva già da tempo cessato l’incarico di Sostituto della Segreteria di Stato” (ricoperto dal 10-05-2011 al 29-06-2018, giorno in cui era stato nominato Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi) e solo dopo l’invio del messaggio di Becciu a Perlasca.

Tuttavia, sottolineano i magistrati d’Oltretevere, cessato dall’incarico di Sostituto Becciu non poteva disporre in alcun modo di somme di denaro della Segreteria di Stato “se non Superiormente e preventivamente autorizzato”. Del resto, quando, l’11 gennaio 2019 il cardinale gli invia un nuovo messaggio perché proceda a una seconda tranche dei pagamenti, Perlasca gli rappresenta le difficoltà che il suo diretto Superiore, il nuovo Sostituto Edgar Pena Parra, oppone all’autorizzazione dei bonifici. E Becciu chiama di nuovo in causa il Papa: al whatsapp di Perlasca che gli scrive “Eminenza, buongiorno. Il Sostituto mi fa difficoltà – me le aveva fatte anche l’altra volta – per l’invio dei soldi da lei chiesto. Forse è bene che lei gli parli …. s.m.i.”, Becciu risponde: “Ma gli aveva parlato il Papa! Ma devi chiedere a lui ogni volta l’autorizzazione? Non bastava che avessi la mia autorizzazione fino al completamento della somma?”.

Il cardinale, infine, avrebbe mantenuto i contatti con la Marogna anche dopo aver appreso delle accuse dagli inquirenti vaticani nei suoi confronti, e questo è uno degli elementi che fa ritenere ai magistrati che non ci sia stato alcun tradimento di fiducia da parte della Marogna nei confronti del cardinale, e che Becciu non possa “non essere ritenuto responsabile di questo ennesimo atto di distrazione di risorse pubbliche“, in relazione ai 575mila euro della Segreteria di Stato che sarebbero stati spesi in beni di lusso dalla signora.

A dimostrare tali rapporti è una relazione di servizio redatta nell’ambito dei compiti di tutela della sicurezza dal Corpo della Gendarmeria in cui si documenta tra l’altro la presenza della Marogna, dalle 19 del 16 settembre 2020 alle 11.49 del 17 settembre 2020 “all’interno del palazzo del Sant’Uffizio dove è ubicata, tra le altre, l’abitazione privata di Sua Eccellenza Reverendissima Angelo Becciu”, palazzo dove dunque la manager passa anche la notte. “L’atteggiamento della donna, immortalata nel momento in cui faceva ingresso nel palazzo con una valigia, fanno intendere – osservano gli inquirenti vaticani – un rapporto tra il porporato e la sedicente esperta di geopolitica ben consolidato e rimasto inalterato anche dopo che Mons. Alberto Perlasca, dopo l’interrogatorio del 29-4-2020, aveva informato il porporato dei sospetti che all’epoca gli inquirenti avanzavano sulla donna”.

Dal canto suo l’interessata, attraverso il suo procuratore in atti Riccardo Sindoca, commentando all’Adnkronos le ultime notizie relative alla sua collaborazione con l’ex Sostituto della Segreteria di Stato parla di “immutato affetto” per il cardinal Becciu. Marogna, dice Sindoca, “non avendo nulla da dover nascondere ed occultare per quanto attesta il rapporto fiduciario intercorso tra la stessa e Becciu e il servizio svolto nell’esclusivo interesse della Segreteria di Stato e della Santa Sede, non ha e non ha mai avuto alcun motivo dal dover prendere distanze sia formali che sostanziali dall’allora Sua Eccellenza Reverendissima Cardinale Angelo Becciu avverso il quale immutato permane l’affetto nutrito”.

E ancora, aggiunge Sindoca, “non si comprende come sia possibile che il Segretario di Stato, Sua Eccellenza Reverendissima il Cardinale Pietro Parolin, che con propria mail scrive a Cecilia Marogna di non recarsi in Segreteria la settimana del suo arresto poi voluto in Italia, possa dichiararsi all’oscuro della posizione di Cecilia Marogna, posto che i pagamenti avverso la stessa fossero stati autorizzati fin dal Santo Padre in Persona come da chat del Cardinale Becciu occorse con Mons. Perlasca, e che lo attesterebbero senza indugio alcuno, così come ha dichiarato Becciu, sia stato imposto dal Santo Padre il Segreto in occasione dell’interrogatorio richiesto dal Promotore di Giustizia. Di certo vi è dicotomia fra quanto richiesto dal Santo Padre a Becciu e Marogna e quanto poi autorizzato con decreto il 19 giugno dal Santo Padre. Si fa presente che la Segreteria di Stato venga ritualmente informata di qualsivoglia indagine a carico di proprio personale e carica e pertanto il Segretario di Stato stante a quanto non poteva e non doveva esserne all’oscuro“.

Parolin dal canto suo si è detto “molto triste per la conclusione e le persone che sono coinvolte in questo affare”. Il segretario di Stato vaticano che domenica si trovava a Strasburgo, si è augurato che “il processo sia breve per dare tutte le prove e la verità che questo affare merita, perché ha fatto soffrire molte persone, e sottolineo anche questo, ha fatto e fa soffrire ancora molte persone, e questo è triste per tutti. Non possiamo giudicare, ma mi sento di condividere il dolore di molti che sono presi in questo affare”. Sul perché la Segreteria di Stato abbia deciso di costituirsi parte civile nel processo, “dopo aver considerato tutti gli elementi, e dopo aver seguito molto da vicino tutto l’evolversi di questo affare, anche non avendo conoscenza diretta di quello che l’inchiesta stava producendo, alla fine ci siamo considerati delle vittime, ed è questa la ragione per cui abbiamo preso questa decisione”.

Il cardinale ha sottolineato quindi il dovere di “difendere l’onorabilità della Santa Sede, il comportamento corretto della Santa Sede e non giudicare le persone. Può essere che qualcuno si sia comportato male e abbia fatto cose che non doveva, ma sarà il processo che lo stabilirà. Ma come istituzione riteniamo che abbiamo subito un pregiudizio da quanto è successo, e che dovevamo difendere la nostra posizione e onorabilità e anche poter rientrare in possesso almeno di una parte dei soldi. È per questo che abbiamo ritenuto necessario portarci parte civile”. E se lei sarà chiamato a testimoniare nel processo che farà? “Se mi chiedono di testimoniare lo farò”.