Società

“Vogliamo salvare i borghi d’Italia dall’abbandono, facendo ‘adottare’ coltivatori e antiche tradizioni”

Paolo Galloso, 41 anni, da Lecce e Biagio Amantia, 31 anni, da Catania, hanno creato una startup per sostenere progetti agricoli locali. Chi partecipa può pagare ore-lavoro e ricevere in cambio prodotti. "Così vogliamo ridare vita alle piccole economie del territorio"

Quando nel 2016 Paolo è tornato dagli Stati Uniti è partito da un concetto semplice. “Ci siamo chiesti perché non creare una rete per ridare vita ai borghi abbandonati sul territorio italiano, facendo conoscere a tutti la ricchezza e la bellezza del patrimonio in cui viviamo?”. Nasce così Coltivatori di Emozioni, la prima piattaforma in Italia di social farming, con l’obiettivo di creare una rete di agricoltori e sostenitori delle tradizioni contadine per salvaguardare i territori rurali a rischio abbandono. A guidare la startup due imprenditori: Paolo Galloso, 41 anni, da Lecce e Biagio Amantia, 31 anni, da Catania.

“Abbiamo cercato aziende agricole che lavorano la terra in modo tradizionale e che desiderano tramandare questo antico mestiere”, ricorda Paolo al fattoquotidiano.it. La rete oggi è presente in 17 regioni e ha messo insieme oltre 40 agricoltori in 3 anni, grazie anche alle adozioni arrivate da tutta Italia. Tramite specifici “pacchetti di adozione”, infatti, i sostenitori possono donare ore-lavoro alle aziende sul territorio destinate alla semina, alla potatura, all’aratura, alla trebbiatura, alla raccolta. E ricevono come ricompensa i prodotti che l’agricoltore lavora e un albero piantato col proprio nome. Un sistema per “sostenere le aziende agricole italiane, far assumere giovani lavoratori e migliorare la filiera produttiva”, spiegano i due titolari. Concentrandosi sui piccoli borghi e sui produttori che hanno deciso di restarci, grazie alla collaborazione con l’Associazione Borghi d’Italia. “Per salvare i borghi è necessario creare nuove opportunità lavorative – continuano –. Grazie alle donazioni ci riusciamo, tramandando le conoscenze agricole antiche e le coltivazioni che meritano di essere riscoperte”.

“Investire in Italia significa farlo nel Paese più bello al mondo – continua Paolo –, ma vuol dire anche giocare un po’ di fantasia”, sorride. “Qui in startup ogni giorno è diverso, accade sempre qualcosa di non pianificato” spiega Biagio, co-fondatore. Le costanti della giornata sono computer, e-mail e il database di utenti “del quale conosciamo il numero a memoria in ogni momento”.

Oggi Bea coltiva il farro ad Abbateggio, in Abruzzo; Ezio produce nocciole a Carentino, in Piemonte; Mattia porta avanti le specialità della tradizione contadina nelle Marche lavorando grani antichi a Gradara. Il primo a entrare nella rete dei coltivatori è stato Stefano Benoni, 42 anni, agrotecnico nel comune di Petacciato, 3.700 abitanti in provincia di Campobasso. “Con mio fratello, rientrato da Padova, avevamo riattivato un piccolo uliveto familiare, ma volevamo crescere, aumentare gli ettari coltivati – ricorda Stefano –. In questi anni, grazie a Biagio e Paolo, siamo riusciti a farlo. Abbiamo capito che non basta impegnarsi per avere un ottimo prodotto, bisogna avere la consapevolezza che è fondamentale rafforzare le relazioni, la comunicazione, la visibilità”.

Trascorsi tre anni dalla sua adesione, ad esempio, l’azienda di Stefano, grazie alle adozioni, è riuscita a rendere produttivi tutti gli 800 alberi di ulivo di famiglia. “Ogni mattina, insieme a mio padre, controlliamo l’oliveto e ci occupiamo delle diverse lavorazioni da fare. Riservo anche parte del tempo a cercare di trasmettere questo amore e questa cultura dell’olio ai lavoratori migranti che sono con me – racconta –, tramandando la conoscenza e la passione per il nostro mestiere”.

Il momento più bello e significativo è stata “la visita nell’oliveto di Stefano – ricorda Biagio –. L’accoglienza, il giro tra i campi, i racconti e le emozioni del produttore”. Paolo e Biagio stanno lavorando per estendere il progetto a tutte le regioni italiane. “Il nostro obiettivo è riuscire a riattivare dei borghi e ridare vita alle piccole economie locali”. Il momento esatto in cui i due imprenditori hanno capito che il progetto poteva davvero crescere è stato nel novembre 2016, quando un’azienda che si occupa di efficientamento energetico ha investito con una quota di minoranza nella startup. “Spesso è difficile individuare aziende o sponsor disposti a credere in una nuova idea: noi ce l’abbiamo fatta”. Con il 2021 e la ripresa delle attività bloccate dalla pandemia l’obiettivo è quello di allargare il progetto anche ai turisti stranieri che vorranno scoprire le antiche tradizioni e magari decidere di trasferirsi in Italia per viverle. “Vorremmo riuscire a riattivare i borghi per dar vita – concludono – a un grande albergo, diffuso e sostenibile. Il più grande d’Italia”.