Società

La mia odissea per il rinnovo di un passaporto a Napoli (con mezzo ufficio in smartworking)

Uomini, caporali, prefetti e questori. Siamo quasi in zona bianca ma nei posti chiave dell’amministrazione pubblica napoletana (e non solo) per loro comodità sono in smartworking.

Mio figlio, iscritto all’Aire, Associazione Residenti all’estero, deve rinnovare passaporto italiano già scaduto. Sembra un’operazione facile, invece è un’odissea. Ci presentiamo all’Ufficio Passaporti di Napoli, con modulo compilato, bollo, tassa amministrativa pagati e foto tessere ma l’impiegata, ligia e attaccata al più cieco burocratismo (come una cozza allo scoglio) non accetta come documento la patente tedesca. E dunque si rifiuta di prendergli le impronte digitali.

Le faccio presente che la patente è un documento comunitario, comunque il ragazzo nato a Napoli, è munito anche di codice fiscale. Non sente ragioni. Le faccio presente che alla Questura di Milano (mi ero già informata) avrebbero accettato la patente tedesca. Risposta dell’impiegata da teatro pirandelliano: “A Milano sono vicini alla Svizzera e seguono altre procedure”. Chiaro? L’Italia non è una e indivisibile giuridicamente, ma ha le sue leggi a secondo della vicinanza con la zone frontaliere.

Chiedo allora di parlare con un dirigente. Risposta è in smartworking. Occhei, dunque la possiamo contattare. No. Chiedo di parlare con il secondo dirigente: anche lui in smartworking.

Unica soluzione per il figliolo fargli, al volo, una carta d’identità. Già al volo, dovrei scapiccollarmi all’aeroporto di Capodichino, dove gliela farebbero a vista. Seconda opzione: andare al Comune di Napoli. Data la vicinanza e la ristrettezza dei tempi opto per la seconda. Ma mi ci vuole l’iscrizione on line. Benedetta burocrazia. Benvenuti nell’altro labirinto dell’iscrizione digitale.

Mi presento personalmente al Comune della mia circoscrizione, altra porta sbarrata.
Chiedo di parlare con un dirigente: è in smartworking. Come quasi tutta la piramide dirigenziale, sono tutti a lavorare da casa. Ricordo il nome di un gentilissimo funzionario, signore Santoriello, lui lavora in presenza (sospetto che sia il solo) ma, ahimè, è in municipio per officiare un matrimonio. Anche se armata di santa pacienza, essa ha un limite. Neanche aver chiesto lumi all’Assessore alla Cultura, Nino Daniele, mi ha dato uno spiraglio di speranza.

Ritorno a casa, cornuta e mazziata, senza rinnovo e senza carta d’identità che tra l’altro serviva anche perché mio figlio potesse partecipare all’Open Day dei vaccini. Mi informa Brigitta Notz che sulla tivù svizzera hanno appena mandato in onda un reportage sull’abilità dei napoletani a fabbricare passaporti falsi, costo 300 euro. Quasi quasi, sarebbe più facile… E’ una battuta, ovvio! Aspettando che a Napoli si attrezzino al più presto per fornire anche passaporti vaccinali farlocchi.

Cambio di scena. Milano: seduta di discussione della tesi di mia figlia. L’Università ha sedi all’estero, Londra, Parigi… dunque ha un cotè internazionale. Trovo che per una seduta di laurea il professore (non era prevista neanche una commissione) poteva anche scomodarsi da casa e farla di persona. Altrimenti pure mia figlia se la discuteva comodamente dal letto in pigiama.

Se dopo un anno e mezzo di lockdown togliamo anche l’ultima aura di sacralità all’evento che rimane unico cosa rimane ai ragazzi come ricordo di quello che dovrebbe essere l’indimenticabile giorno. Lo schermo di un computer.