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L’unico certificato che l’Africa dovrebbe pretendere è un “pass democratico”

Alphonse era partito con suo fratello maggiore alla volta dell’Algeria. Dopo la morte del padre per malattia, il suo lavoro di moto-taxi a N’Zerekoré in Guinea, non assicurava il futuro della famiglia. A 19 anni Alphose vede morire suo fratello che cade dal pick-up che trasportava 42 migranti nel deserto. L’attacco dei banditi/terroristi ha completato il viaggio di andata in Algeria. Lo hanno risparmiato solo perché aveva perso il fratello nel viaggio.

Ad Algeri è accolto dall’Associazione “Incontro e Sviluppo” e, durante il soggiorno nella loro casa, viene informato che la salute della madre si sta rapidamente deteriorando. Al suo appello telefonico risponde a malapena e capisce solo che la madre lo invita a tornare da lei perché ha già perso il suo primo figlio. Ancora prima di regolarizzare i documenti di viaggio è informato della morte repentina della madre.

Alphonse, aiutato dall’Associazione, parte col poco che gli rimane del breve transito in Algeria. Prima di raggiungere la città di Tamanrasset alcuni poliziotti algerini lo derubano, lui, l’unico nero del convoglio: il cellulare, un paio di pantaloni, le scarpe e la camicia. Gli rimane uno zainetto e il poco di soldi che l’Associazione gli ha riservato per il seguito del viaggio. Ben nascosti sono sopravvissuti alla perquisizione. Alphonse torna alla sua città natale e spera che suo zio gli compri una moto per riprendere il mestiere di tassista che aveva abbandonato appena qualche mese fa. Alphonse non sarà mai più lo stesso.

Siamo buoni ultimi nel recente rapporto sullo sviluppo umano pubblicato dall’apposita agenzia delle Nazioni Unite. I soliti nomi per l’indice dello sviluppo molto elevato, a cominciare dalla Norvegia, l’Irlanda, la Svizzera e Hong Kong, città stato. Si passa poi ai Paesi ad elevato indice di sviluppo umano con l’Albania, Cuba socialista dopo la dinastia dei Castro, l’Iran coi guardiani della rivoluzione e il Messico degli zapatisti, che tornano in barca da coloro che secoli fa li invasero.

Con un indice medio di sviluppo il rapporto annovera il Marocco con l’enclave di Ceuta, che ha fatto esperienza “dell’invasione migratoria”, inedita per ampiezza e soprattutto per le studiate modalità. Seguono l’Irak e il Guatemala: paesi che, ognuno a modo loro, hanno potuto assaporare la realtà della democrazia esportabile degli Stati Uniti. Nella parte terminale del rapporto si trovano la maggior parte dei Paesi africani e in particolare della zona subsahariana. Sono pudicamente definiti a sviluppo “debole” e tra questi troviamo il Burundi, il Sud Sudan senza pace dalla sua creazione post coloniale, il Chad col figlio del maresciallo dittatore Idriss Deby, la Repubblica Centrafricana con la presenza russa in crescendo e ultimo, per l’ennesima volta, il Niger. Non saranno bastati i cavalcavia, i palazzi nascosti nei quartieri, gli hotel con le stelle sparse sulla riva del fiume Niger e la costruzione di un nuovo aeroporto internazionale per schiodare il paese da questa posizione a cui ci siamo, malgrado tutto, abituati.

Ricordiamo che l’indice di sviluppo umano prende in considerazione tre fattori. Il primo in relazione con la vita e cioè la speranza di vita e il servizio sanitario. Il secondo l’ambito delle conoscenze e dunque l’educazione, e in ultimo le condizioni di vita e la loro decenza. Il tutto tenendo conto delle disuguaglianze economiche, sociali e di genere. Il Niger si trova al numero 189, primo partendo dal basso.

Christophe e i suoi figli sapranno il seguito della loro avventura con l’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni il prossimo 10 giugno. Dopo aver sfiorato il mondo dei rifugiati, lui e i suoi figli hanno confermato il desiderio del ritorno alla capitale della Relativa Democrazia del Congo, Kinshasa Rdc. Christophe spera di rifarsi una vita dopo gli anni di transito verso una terra che non ha mai raggiunto. Sua moglie, invece, questa terra l’ha raggiunta ed è stata sepolta a Ouagadougou, la capitale di Thomas Sankara del Burkina Faso.

Hanno obbedito all’obbligo del tampone Covid e, solo per lui, della vaccinazione con Astrazeneca per lo stesso motivo. Sulla carta di vaccinazione alla voce professione hanno scritto “migrante”. Diceva che non gli hanno mai domandato qual era la sua professione e afferma che vorrebbe solo ricominciare a vivere come si conviene ad un papà che deve prendersi cura del futuro dei tre figli.

Malgrado il coro dei politici e le ingiunzioni di chi possiede il potere di decidere, dappertutto nel Sahel c’è una giusta reticenza alla vaccinazione contro la Covid. Tutta una questione di priorità, di decenza e di rispetto. Solo nel Niger si sono registrati, nel 2020, oltre 5mila morti di malaria, per la maggior parte bambini. Per evitare un’altra ecatombe simile è stato annunciata una campagna di distribuzione personalizzata di milioni di zanzariere.

Quando la prima epidemia da sconfiggere è quella della fame parlare di vaccini anticovid è un’offesa. Se l’altra preoccupazione è l’insicurezza legata all’azione nefasta dei gruppi armati terroristi che hanno provocato migliaia di vittime e creato centinaia di migliaia di sfollati o rifugiati, azzardarsi a parlare di Coronavirus è un crimine di lesa dignità. Chi dovrebbe essere vaccinato in priorità sarebbe allora l’Occidente, affermano i morti del Mediterraneo. Il vaccino più efficace, di difficile produzione, è quello della libertà nella mobilità delle persone. Come ricorda Michelle Bachelet dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani in un recente rapporto che accusa la Libia e l’Europa: “Finché non ci saranno sufficienti canali di migrazioni sicure, accessibili e regolari, la gente continuerà a tentare di attraversare il Mediterraneo, malgrado i pericoli e le conseguenze”.

Ciò significa che l’unico certificato che l’Africa dovrebbe pretendere da ogni cittadino, locale o straniero, è un “pass democratico”. Una carta che offrisse l’evidenza dell’impegno fattivo per il rispetto dei diritti umani e la dignità di ogni persona. Un “pass” che desse garanzie di cittadinanza attiva per creare un mondo differente e cioè liberato da ogni tipo di esclusione. Quanti non fossero in grado di esibire detto certificato sarebbero messi in quarantena e invitati poi a mettersi a scuola di democrazia in una scuola di sabbia, che solo i bambini del Sahel sanno come costruire.