Giustizia & Impunità

Condannata a 4 anni la foreign fighter italiana Alice Brignoli: l’ex moglie di un miliziano Isis era a processo per terrorismo internazionale

La donna era stata arrestata lo scorso 29 settembre in Siria. Da quando è in Italia ha cominciato un percorso di recupero. Il capo del pool antiterrorismo di Milano Alberto Nobili si è detto soddisfatto del lavoro svolto, ora l'obiettivo è permettere alla donna di tornare alla normalità

È arrivata la condanna con rito abbreviato per Alice Brignoli, la foreign fighter italiana arrestata il 29 settembre 2020 in Siria dove era scappata con il marito, il miliziano delle Bandiere Nere Mohamed Koraichi, e i figli. Per Daniela Cardamone, gup di Milano, Brignoli è colpevole di terrorismo internazionale, motivo per cui dovrà scontare 4 anni di carcere e 5 anni di interdizione dai pubblici uffici.

Cardamone ha anche stabilito una provvisionale di 5 mila euro, immediatamente esecutiva, per ognuno dei quattro figli della donna, assistiti dall’avvocato e curatore speciale Silvia Belloni che ha deciso di costituirsi parte civile nel processo. “La costituzione di parte civile è stato un gesto di responsabilità nei loro confronti”, ha spiegato l’avvocato dopo la sentenza. Le motivazioni saranno depositate entro 30 giorni, ma la pena comminata dalla gup è risultata inferiore a quanto richiesto dal pm Francesco Cajani e dal capo del pool antiterrorismo di Milano Alberto Nobili, titolari dell’indagine, che avevano chiesto una condanna a 5 anni di carcere.

La donna nei mesi scorsi ha affrontato diversi interrogatori davanti agli inquirenti ma ha scelto di non collaborare alle indagini. Alice Brignoli, che dopo la conversione all’Islam aveva preso il nome di Aisha, e il marito avevano intrapreso il cammino della radicalizzazione a partire dal 2009.

Quella di Alice Brignoli è una storia di “fanatismo”, secondo i rappresentanti della pubblica accusa. Il percorso della famiglia verso il Califfato, lei italiana e lui di origine marocchina, con i tre figli di 2, 4 e 6 anni, era iniziato nel settembre 2015, a pochi mesi dalla proclamazione della nascita del Califfato, con un viaggio in auto da Lecco alla Siria. Una “scelta strategica” quella di portare i figli “per farli diventare futuri combattenti, come è successo al più grande dei loro bambini”. Una scelta radicale con la donna che condivide i propositi del marito “con grande entusiasmo, addestra e indottrina i figli in tenera età ed è talmente fiera che la sua foto profilo di WhatsApp mostra i tre figli vestiti da combattenti con il dito alzato”.

Secondo quanto emerso dal lavoro degli inquirenti, la Brignoli ha “cercato di convertire la madre e altri familiari”. L’attività di ricerca della donna non si è mai interrotta fino alla sicurezza che si trovasse nel campo di al-Hol, nel nord della Siria, sotto il controllo curdo. “La condanna non fa bene a nessuno – ha commentato Nobili – l’obiettivo non era quello”. Il magistrato ha aggiunto che Brignoli “ha spiegato che non è più la donna che era una volta e che non farebbe più quello che ha fatto”. Nel suo percorso la Brignoli “è molto aiutata” dal rapporto con i quattro figli, affidati a una comunità “che quotidianamente le è consentito di sentire e di chiamare”.