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Vaccini, ai paesi più poveri recapitate un quinto delle dosi previste. A 130 stati neppure una fiala. Il rischio di proliferazione delle varianti

Il programma delle Nazioni unite Covax fatica a rispettare le scadenze programmate a causa di ritardi nelle produzioni e scarsa disponibilità delle case farmaceutiche. Dieci paesi nel mondo si sono sinora accaparrati il 75% delle dosi di vaccino prodotte ma finche la copertura contro il virus non sarà globale il rischio che si sviluppino nuove varianti non sarà scongiurato. Pesanti le potenziali ricadute economiche della distribuzione diseguale delle fiale, stimate in 9mila miliardi di dollari

Male, anzi malissimo. Soldi scarsi, tanti ritardi, pochi vaccini. Il programma delle Nazioni Unite “Covax”, che ha l’obiettivo di provvedere alla vaccinazione anti Covid di almeno il 20% della popolazione di 92 paesi poveri, si muove a passo di lumaca. In base alle tabelle di marcia a fine maggio avrebbero dovuto essere consegnate 250 milioni di dosi ma al momento ne sono state spedite appena 50 milioni. Un quinto. Molto difficilmente il gap sarà colmato nei prossimi 27 giorni. Anche perché il drammatico peggioramento della pandemia in India ha paralizzato le forniture provenienti del Serum Institute che nel paese asiatico ha sede e che produce dosi su licenza AstraZeneca. Da questo centro dovrebbero arrivare buona parte delle dosi destinate al programma Covax.

La situazione è scoraggiante e per rendersene conto basta scorrere alcuni dati. L’Indonesia ha ricevuto un decimo delle dosi programmate, Pakistan e Messico quasi nessuna. In Africa il Rwanda risulta il paese che ha ottenuto il più alto numero di fiale, ma siamo comunque appena al 32% degli arrivi programmati. Per di più il paese ha utilizzato tutte le dosi per le prime somministrazioni e ora si trova senza fiale per procedere alle seconde inoculazioni, rischiando di “bucare” le scadenze prescritte dagli esperti. La stessa cosa sta accadendo in Ghana così come in Bangladesh. Con i suoi 160 milioni di abitanti il paese asiatico si trova ora con gli scaffali degli ospedali vuoti. Nigeria, Repubblica del Congo, Kenya ed Etiopia al momento hanno ricevuto meno del 30% delle fiale programmate.

Dietro a Covax ci sono molte parole, tante buone intenzioni ma purtroppo ancora pochi fatti. A fine marzo dieci stati nel mondo si erano accaparrati il 75% dei vaccini in circolazione, mentre 130 paesi e i loro 2,5 miliardi di abitanti, non avevano ricevuto neppure una fiala. Detto in altro modo, l’80% dei vaccini sinora somministrati è andato ad abitanti dei paesi più ricchi, lo 0,3% a quelli dei paesi più poveri. Le case farmaceutiche centellinano le consegne destinate per Covax che subordinano ai più profittevoli contratti siglati con i singoli paesi. La pratica di “saltare la fila” è diffusa anche tra gli stati. E sarebbe, entro certi limiti, anche comprensibile e giustificabile. Qualsiasi governo attribuisce la precedenza della tutela alla propria comunità. Così, ogni volta che c’è un ritardo, qualunque ne sia la causa, gli effetti si scaricano innanzitutto su chi sta in fondo.

Il problema è che, come ribadito da tutti gli esperti, la popolazione globale sarà al sicuro dalla pandemia solo quando l’immunizzazione coinvolgerà tutte le aree del globo. Finché il virus circola esiste la possibilità, che è quasi una certezza, che si possano sviluppare varianti. Come sappiamo è già accaduto ma, fortunatamente, i nuovi “ceppi” sembrano essere efficacemente contrastati dai vaccini già in commercio. Nulla tuttavia assicura che continuerà ad essere così se dovessero affermarsi nuove varianti. Se accadesse si tornerebbe quasi alla casella di partenza. La tecnologia mRNA, con cui sono stati realizzati molti dei vaccini in circolazione, assicura la possibilità di risposte farmaceutiche rapide ma in ogni caso i tempi del ritorno all’agognata normalità si allungherebbero.

I costi sono umani, sociali ma anche economici. E che costi. L’International Chambre of Commerce ha stimato che una accesso diseguale ai vaccini potrebbe costare all’economia globale 9mila miliardi di dollari (7.500 miliardi di euro), metà dei quali a carico dei paesi più ricchi. Cifre analoghe sono state prospettate da Ocse e Fondo monetario internazionale che continua a ripetere la necessità di procedere spediti con i programmi vaccinali nei paesi più poveri per scongiurare crisi economiche e finanziarie di portata globale. Al momento il programma Covax dispone, almeno sulla carta, di una dotazione finanziaria, di 7,5 miliardi di dollari, cifra raggiunta dopo l’iniezione di 4 miliardi aggiuntivi da parte dell’amministrazione statunitense Biden. Comunque pochi rispetto alle reali necessità. Ipotizzando un costo medio del trattamento di 10 dollari, i soldi bastano per 750 milioni di vaccini. La struttura ha già siglato accordi che in teoria dovrebbero assicurare 1,5 miliardi di dosi ma, come abbiamo visto, le forniture arrivano con estrema lentezza. Tre giorni fa Moderna ha annunciato l’invio a Covax di 500mila fiale. Sono le prime recapitate dalla società statunitense. E’ un quattrocentesimo di quanto servirebbe entro fino maggio.