Musica

Achille Lauro: “Cito sempre Dio perché sono profondamente credente. Le critiche da Antonio Ricci? Si informi”

L'artista presenta a FqMagazine il sesto album di inediti “Lauro”, tredici brani che spaziano dall'amore, al ruolo della donna nella società di oggi fino alla Generazione X che vuole sempre di più. Un ritratto tra luci ed ombre con in comune una parola: Dio

Un artista divisivo che punta allo stupore, creare dibattito e sconvolgere i canoni della musica “perché me ne frego”. Achille Lauro è reduce da due Festival di Sanremo in cui ha lasciato una traccia e lanciato un messaggio in nome della libertà di essere se stessi. Esce il sesto album di inediti dal titolo “Lauro” che racchiude tredici brani che raccontano anche la società di oggi tra fallimenti, rinascite, storie d’amore spezzate ma anche il significato del bene e del male. A FqMagazine Achille Lauro si è raccontato a tutto tondo.

Citi Dio in quasi tutto il disco. Cosa rappresenta per te?
Io sono profondamente credente, ma in qualcosa di forse non ordinario, che riguarda il destino, il fato, un qualcosa di ultraterreno. L’iconografia rappresenta per tutti noi questi concetti. Ognuno dà al proprio dio una veste diversa, e mi riferisco alla nostra generazione. Io lo cito spesso. Come potrei non essere credente in qualcosa di superiore! Per quanto io pensi che ognuno sia abbastanza artefice del proprio destino, credo che ci sia sempre una mano a vegliare su di noi.

In Generazione X parli di una generazione “che ha niente, che rifiuta la sua e anche la precedente. È un ritratto di quello che stai vedendo in questo periodo?
Certo. Mi piaceva fare un parallelismo tra la generazione X, nata a cavallo tra il ’65 e l’80, e la nostra. Ci sono punti di contatto: non esiste più un dio, non si costruisce niente e non si crede in niente. È tutto un qui e ora, sono solo io e basta e in più siamo circondati da dipendenze. Ad esempio, oggi, la tecnologia, che ha tanti lati positivi ma dobbiamo essere coscienti che crea dipendenza e la accettiamo. E tornando a Dio, lo vediamo in qualsiasi cosa. Trovo che siamo un po’ tornati all’approccio di quella generazione.

Un concetto ripreso da “Latte+” dove dici “ma a noi serve di più”. Tu tendi sempre a superarti e a stupire?
Non so se sia una cosa negativa o positiva, come sempre dipende. Come il concetto di disobbedienza, che a volte ha cambiato il mondo. Questa è una generazione che dice: ‘oggi voglio una cosa, ma è già vecchia’. Io ne sono l’esempio anche nel mio lavoro. Ho fatto tre dischi in un anno, ho scritto 150 canzoni ma non sono soddisfatto, così faccio anche altre cose. Sono un esempio perché spingo sempre più in alto l’asticella senza preoccuparmi di niente, facendomi criticare e mettendo la gente di fronte a un qualcosa a cui non è abituata, mettendomi in piazza. È un ritratto di noi, a noi serve di più.

In “Femmina” racconti l’essere “uomo ad ogni costo” . Un tema attuale, dalle recenti polemiche sul cat calling al patriarcato ancora forte nella nostra società. Che ne pensi?
Credo di aver catturato uno stato d’animo, una sensazione molto comune, cioè quella degli uomini che si nascondono dietro la virilità. Una cosa che esiste e inevitabilmente ci ha influenzati, siamo un po’ figli di questo “ “insegnamento”. Per quanto mi riguarda io ho 30 anni e cerco di cambiare questa visione. Ma di questa cosa siamo anche vittime, dell’uomo che deve dimostrare di essere menefreghista, rispetto alle relazioni e non solo. Nella canzone racconto il tentativo dell’uomo di sminuire le donne, ma in realtà la canzone mette la donna al di sopra di Dio. Il brano ha varie chiavi di lettura e racconta una sfumatura caratteriale pericolosamente comune.

Secondo te questa cultura blocca di fatto la discussione sul disegno di legge contro l’omotransfobia?
Conosco bene il tema. Lo scorso ottobre sono stato ospite di Vladimir Luxuria al Lovers Film Festival di Torino, dove è stata esposta per la prima volta la mia opera ‘Love Is Love‘. Allora, come ora, sottolineo che c’è un problema di cultura da non sottovalutare. Qua non si tratta nemmeno di un problema di genere, si parla di diritti umani. Non è più possibile assistere ad episodi di violenza contro persone che non fanno male a nessuno, ma semplicemente hanno la propria vita. Trovo vergognoso che debba essere ancora argomento di dibattito una legge contro l’omotransfobia, che ci siano discussioni, che ci siano dubbi e sia ancora argomento di ‘moda’. Sono diritti umani, punto. Fondamentale che ci siano delle leggi, perché se una persona esce di casa e offende qualcuno o incita alla violenza, deve essere punita. È vergognoso che nel 2021 e solo in Italia si possa pensare che offendere sia un diritto e chi è offeso debba subire. Non mi sono esposto in questi giorni perché l’ho fatto in scena portando ideali di libertà. C’è bisogno solo di agire e forse in un Paese diverso da questo ci sarebbero le persone in piazza a farsi sparare addosso.

Sei un personaggio divisivo. Antonio Ricci di te ha detto: “Non lo trovo sincero. Penso sia un ottimo prodotto di marketing, un perfetto indossatore per Gucci”.
Antonio Ricci fa quello che dovrebbe essere un programma di denuncia. Penso dovrebbe anzitutto informarsi e una volta che si è informato può esserci una critica. Non ho niente né contro di lui né in generale contro le critiche, anzi metto sempre in piazza me stesso. Le polemiche che ci sono state contro di me sono state fuorvianti e avrebbero potuto anche distruggere un ragazzo sensibile, perché ci possono essere ragazzi che di fronte a un attacco mediatico fanno gesti incontrollati, io invece me ne fotto. ‘Rolls Royce’ era sì una canzone che parlava del genio sregolato, ma era l’emblema del lusso. ‘Voglio una vita così, voglio una fine così’ nel senso che l’inizio e la fine fanno parte della vita. Per quanto riguarda la critica sul prodotto di marketing di Gucci, mi fa ridere che si dica che io sono un modello a cui è stato messo addosso un vestito. Nella mia carriera ho costruito io un mondo attorno alle mie canzoni perché credo che le canzoni non si ascoltino e basta, ma si guardino anche. Quindi alle persone che dicono così, non solo al signor Ricci, vorrei dire che sono stato io a presentare al direttore creativo di una casa di moda un progetto, non certamente per farmi sponsorizzare. Prima di andare a Sanremo 2019 ho detto al mio team che avrei voluto portare partecipare presentando tutte le mie varie anime. Ossia un brano che in 4 minuti racchiudesse un momento emotivo, una parte di stupore, poi la parte punk con le avances. Volevo interpretare personaggi che avessero rappresentato l’essere liberi, che con i loro gesti avessero incarnato la libertà. Ho voluto prendermi anche il rischio di non essere capito. Così il direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele, che per me è uno dei più grandi visionari perché ha cambiato la moda stravolgendo i canoni, ha messo “il fiocco” sul mio progetto. Come lui cerco anche io di stravolgere le regole della musica, fottendomene di tutto e andando incontro al rischio di perdere tutto, perché altri artisti sono attaccati alla loro strada, io invece non ho paura di perderla. Quindi alle persone dico di informarsi, perché non è stata una operazione di marketing e tecnicamente non avevo nessun vestito commerciale, destinato alla vendita, addosso.