Diritti

I figli delle vittime di femminicidio su GoFundMe tra disperazione, solitudine e burocrazia

Vittime “invisibili”, “collaterali”, “secondarie”. Sono questi i termini più utilizzati dalle cronache per identificare i figli delle vittime di femminicidio. Noi li vediamo sempre più spesso purtroppo come beneficiari di raccolte fondi su GoFundMe, segnale di un triste fenomeno. Parliamo quasi sempre di minori che si vedono privati per sempre della loro madre, a volte testimoni oculari dello stesso omicidio. Bambini e adolescenti che devono affrontare traumi psicologici e fisici indecifrabili.

Secondo un’indagine Istat condotta sulle chiamate al 1522 contro la violenza e lo stalking, nel 2020 il 58,5% delle vittime di violenza (pari a 3.801 casi) che si sono rivolte al numero verde ha dichiarato di aver figli. Durante il periodo del lockdown insieme alle violenze è aumentato anche il totale dei figli che assistono alle violenze ovviamente (incremento dell’85,6%).

Il racconto dei media si interrompe troppo presto. Chi pensa alle sofferenze e alla vita quotidiana dei figli delle vittime, alla loro solitudine e ai problemi psicologici che dovranno affrontare?

Avevano 3 e 6 anni i bambini di Carmela Morlino quando lei fu accoltellata dal marito. Hanno assistito a quella violenza brutale. I nonni, che li hanno presi in affidamento, dopo mesi di disperazione per far fronte alle spese mediche e legali hanno deciso di lanciare una raccolta fondi su GoFundMe “per la tutela e la cura dei figli di Carmela”. I bambini temono che il padre, che sta scontando l’ergastolo, possa uccidere anche loro. Sono traumatizzati e hanno necessità di cure continue, sia mediche che psicologiche, oltre ad avere bisogno di insegnanti di sostegno.

Giusy, 29enne ferita gravemente dall’ex patrigno che aveva appena ucciso sua madre Cristina Messina, si è salvata ma è costretta su una sedia a rotelle e vorrebbe accedere a cure riabilitative costose. Deborah, uccisa a soli 42 anni dall’ex marito, ha lasciato quattro figli, tutti minori. I bambini sono diventati improvvisamente orfani. Quale sarà il futuro di tutti questi bambini e ragazzi?

È evidente che la solidarietà online possa aiutare ma non è sufficiente per un fenomeno purtroppo strutturale nel nostro Paese come quello della violenza di genere. Sono molte le storie di questo tipo che sollevano un problema di cui in Italia non si discute abbastanza.

In ambito legislativo sono stati fatti alcuni passaggi: la legge di bilancio del 2018 ha stanziato risorse per gli orfani di femminicidio che sono state incrementate con la legge 4 dell’11 gennaio 2018 e, successivamente, con la legge di bilancio per il 2019. Tuttavia, solo con il Decreto 21 maggio 2020 n.71, entrato in vigore il 16 luglio 2020, finalmente si è data concretezza attuativa a queste norme.

In particolare la legge che tutela gli orfani di vittime di femminicidio c’è ed esistono anche dei fondi che sono stati stanziati: 14,5 milioni di euro per il 2020, 12 milioni all’anno dal 2021 al 2024. Per ogni minore in affidamento è prevista una quota di 300 euro mensili da utilizzare per le spese sanitarie, borse di studio o avviamento al lavoro. Tuttavia, le associazioni che assistono le famiglie che crescono i figli delle vittime di femminicidio denunciano la difficoltà di accedere e a ottenere questi fondi. Una richiesta d’aiuto che rimane inascoltata lasciando le famiglie sole e schiacciate dai debiti, soprattutto alla luce del periodo di emergenza sanitaria e crisi economica e sociale che stiamo vivendo.

L’iter per ottenere rimborsi per prestazioni sanitarie e assistenziali prevede una richiesta alla Prefettura, che deve essere inoltrata a sua volta al Commissario per il coordinamento delle iniziative di solidarietà per le vittime di femminicidio. Si tratta di una burocrazia che rallenta inesorabilmente il percorso di accesso ai fondi e che rischia di far ottenere questi aiuti preziosi solo dopo mesi o anni. Leggi urgenti come queste si scontrano con procedure farraginose che limitano l’effettiva attuazione della norma.

Servono anche risorse per attivare e sostenere servizi specializzati e radicati sul territorio, centri antiviolenza (per lavorare sulla prevenzione) o di tutela che lavorano con i bambini. In questo senso, il progetto Dammi la mano dell’Associazione Differenza Donna è un valido esempio perché mira a realizzare dei percorsi e delle metodologie specifiche per sostenere e proteggere gli orfani di femminicidio.

Ad oggi, in Italia sono ancora pochi i progetti di questo tipo. È importante pensare ad un programma nel quale gli attori principali siano le istituzioni, l’amministrazione locale e le associazioni di settore, creare una rete sociale e culturale di sostegno ai minori e alle loro famiglie. Il tutto per un’ottima di profondo cambiamento culturale, nel lungo termine.