Economia

Ex Ilva, tira e molla di Arcelor in polemica con Invitalia: “Tagliamo la produzione. Anzi no, avanti tutta”. I sindacati invocano Draghi

Il ministero dello Sviluppo economico aveva annunciato un cambio di passo, ma non arrivano risposte concrete e l'accordo di fine 2020 che avrebbe dovuto portare all'ingresso dello Stato nell'acciaieria non è stato perfezionato

Il caos regna sovrano sull’acciaio tarantino. Arcelor Mittal Italia ha prima annunciato una riduzione della produzione e il rallentamento degli investimenti previsti, per ripicca al silenzio del governo che non ha ancora ottemperato al pagamento della prima tranche da 400 milioni con cui lo Stato sarebbe dovuto entrare nel capitale di A.Mittal con una quota del 50 per cento. Poi però è tornata sui propri passi diramando una comunicazione alle rappresentanze sindacali del sito pugliese con nuovi assetti di marcia che di fatto ripristinano la piena attività dello stabilimento.

Quindi tutt’altro rispetto alle richieste di chiarezza e stabilità che vengono da tempo poste dai sindacati. La cui reazione non si è lasciata attendere: Fim, Fiom e Uil si sono rivolte esplicitamente al presidente del Consiglio, Mario Draghi, chiedendogli un intervento chiarificatore, dicono, su una partita importante a cominciare dalla conferma di quell’accordo siglato non più di 3 mesi fa al termine di una lunga guerra legale e giudiziaria che aveva messo nero su bianco il coinvestimento e disegnato un piano industriale con il quale arrivare, nel 2025, a 8 milioni di tonnellate di produzione e alla piena rioccupazione dei 10mila lavoratori in forze al gruppo.

“La situazione è ormai di un gravità inaccettabile. Siamo fortemente preoccupati che atteggiamenti irresponsabili e tattici in corso da parte di tutti i soggetti portino alla chiusura dello stabilimento”, denuncia il leader Fim, Roberto Benaglia che accusa il governo di “rimescolare le carte”. “Si parla di un cambio di passo ma si rinvia tutto”, continua sollecitando Invitalia, governo e azienda a perfezionare l’accordo firmato il 10 dicembre. “Non staremo fermi ad attendere”, ammonisce.

Di “cambio di passo” aveva parlato una nota del ministero dello Sviluppo economico con cui il ministro Giancarlo Giorgetti aveva riaperto di fatto il tavolo sulla siderurgia, che languiva da tempo, indicando per l’ex Ilva la ricerca di un nuovo metodo di lavoro: “Un accordo di programma, che permetta di utilizzare i fondi disponibili, anche di ambito europeo, per i necessari adeguamenti tecnologici nel rispetto dei vincoli ambientali”. E aveva aggiunto: “Serve un cambio di passo, da parte di tutti gli attori in causa” perché “superate le contrapposizioni, possa finalmente essere trovata una soluzione per permettere il mantenimento e lo sviluppo della produzione dell’acciaio in Italia”.

Ma dal confronto governativo di fatto non era uscita nessuna indicazione concreta rispetto alle scadenze previste dall’accordo ereditato dal governo Conte. Così dunque, scriveva Am.Investco prima del ripensamento operativo e la decisione di far ripartire alcuni impianti : “Nonostante la natura vincolante dell’Accordo, ad oggi Invitalia non ha ancora sottoscritto e versato la sua quota di capitale e quindi non ha adempiuto agli obblighi previsti dall’Accordo. Questo persistente mancato adempimento sta seriamente compromettendo la sostenibilità e le prospettive dell’azienda e dei suoi dipendenti”.

Una situazione “al limite della schizofrenia” per la Fiom: “Sono chiare le responsabilità di Invitalia e del governo per i ritardi sul completamento degli assetti societari e sul rilancio industriale ed ambientale del sito, ma ciò non legittima il comportamento di ArcelorMittal, che prima sembra prendere in ostaggio i lavoratori scaricando su di loro responsabilità improprie e poi improvvisamente comunica una decisione opposta. È evidente che così non si può andare avanti”, ha detto il leader dei metalmeccanici della Cgil, Francesca Re David per la quale il rischio è che si passi “dallo stallo ad un piano inclinato in cui mancate decisioni e scelte inaccettabili mettano in discussione sia la risalita produttiva che la ripresa della fornitura dell’acciaio agli utilizzatori finali, trascinando anche le prospettive dei siti di Genova, Novi Ligure e dell’insieme del gruppo”.

Da qui il coro unanime che chiede un intervento “urgentissimo” del Presidente del Consiglio e una convocazione delle parti e dei sindacati: “Dobbiamo evitare di perdere un asset strategico dell’industria di questo Paese”, conclude Re David. Sul piede di guerra anche la Uilm :”Il Presidente del consiglio Draghi intervenga subito per bloccare questa grave emergenza prima che sia troppo tardi”, chiede il segretario generale Rocco Palombella che punta il dito anche sulla grave situazione dell’indotto che “rischia ora di esplodere da un momento all’altro, creando quindi una bomba sociale e occupazionale senza precedenti”.

L’Usb, poi, torna a chiedere una “nazionalizzazione” rapida dell’ex gruppo siderurgico: “Si deve interrompere ogni relazione con ArcelorMittal, che ha ampiamente mostrato la sua inaffidabilità. Il governo deve bloccare l’attuale gestione e procedere con la nazionalizzazione della fabbrica”. Il governo comunque, come aveva spiegato l’amministratore delegato di Invitalia, Domenico Arcuri, in occasione di un’audizione al Senato nei giorni scorsi, guarda alle risorse del Recovery fund per riconvertire in modo green la produzione dell’acciaio.