Diritti

Embrioni congelati: è legittimo imporre la paternità in nome di un presunto diritto alla maternità?

Tutto ciò che riguarda il mondo della riproduzione e della genitorialità ci pone costantemente dinanzi a nuove complicate questioni. Ciò accade perché, rispetto ad altri, questo tema chiama in causa le volontà (o comunque la partecipazione) di tanti soggetti differenti e dei loro diritti. È di qualche giorno fa la notizia che in provincia di Caserta il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha autorizzato una donna a impiantare embrioni precedentemente congelati, nonostante il parere discordante dell’ormai ex marito.

Andiamo con ordine: un primo tentativo di impianto con Fivet (fecondazione in vitro) era stato già fatto dalla coppia, risultato purtroppo fallimentare. A quel punto la decisione comune era stata di congelare alcuni embrioni in attesa di una nuova occasione, scelta possibile grazie alle modifiche del 2009 alla legge 40/2004 che inizialmente non prevedeva questa opzione. Non è la prima volta che viene autorizzato un impianto di embrioni congelati senza il consenso della parte maschile; ad esempio nel 2019 il tribunale di Lecce aveva consentito a una donna l’impianto con materiale genetico del marito defunto. Niente consenso diretto in questo caso, mi pare ovvio, ma nemmeno un dissenso rispetto ai precedenti accordi. E se il risultato è una famiglia felice, ben venga. Via libera, dunque.

Ma qui l’ex marito è vivo e vegeto. Per uscire da questo dilemma, bisogna prima decidere prima quale strada prendere. Se consideriamo gli embrioni crioconservati al pari di qualunque embrione in senso tradizionale, allora come per tutte le gravidanze spetta alla donna decidere se portarla avanti o meno. Il consenso del partner si ritiene sempre valido, dal momento in cui viene prestato per avviare le pratiche della fecondazione in vitro: secondo la legge 40, infatti, non è revocabile.

Sulla carta, perciò, sembra risolto: se c’è la firma, quello è un contratto da cui si può retrocedere solo fino al momento della fecondazione dell’ovulo, dopo è vietato. Non credo che la motivazione debba essere ricercata nel diritto di venire al mondo dell’ovocita fecondato – che mi sembra un po’ retrò – quanto piuttosto nel diritto della donna di vedere adempiuto il contratto stipulato, rispettando la responsabilità genitoriale di cui sin dall’inizio si era fatta carico.

È legittimo imporre la paternità a qualcuno in nome di un presunto diritto alla maternità? Se ci si pensa bene, però, il consenso iniziale era stato dato al fatto di “diventare genitori”. Questa condizione non è preclusa dall’essersi separati, perciò pacta sunt servanda, i patti vanno rispettati. A mio parere, un’opzione che facilita il processo potrebbe essere la possibilità per il padre di non riconoscere il figlio e non avere alcun obbligo nei suoi confronti – esattamente come accade per le donne che partoriscono in anonimato e non riconoscono il neonato – vietando agli interessati di poter agire in futuro per il riconoscimento giudiziale della paternità. Una sorta di imposizione di paternità puramente genetica.

S’era detto che c’è un’altra strada, dal punto di vista etico: considerare gli ovociti fecondati congelati come semplice materiale genetico non impiantato, e quindi tutt’altra cosa rispetto a un embrione già in utero materno; non godono della stessa tutela legale. Se è così, è un po’ più semplice sostenere che se non c’è una scelta condivisa – un progetto familiare – è chiaro che quell’embrione non ha motivo di essere impiantato, poiché “appartiene” in egual misura a entrambi i soggetti che vi hanno contribuito con materiale genetico. Solo con l’impianto dell’embrione in utero tutte le scelte che riguardano la gravidanza si trasferiscono sulla donna.

Questa posizione fu presa, ad esempio, dal tribunale di Bologna nell’ormai lontano anno 2000. Ma a questo punto, cosa si fa con gli embrioni rimasti inutilizzati? Coerentemente con questa visione delle cose, nel 2015 negli Stati Uniti la Giudice Massullo sentenziò che dovessero essere “scongelati e scartati”, poiché l’intento originale di impiantarli per costruire una famiglia insieme era ormai inesistente, in seguito al divorzio. Sia negli Usa che in altri paesi, tuttavia, esiste anche la possibilità di donare gli embrioni inutilizzati a coppie infertili, come il recente caso di Molly Gibson, la bimba nata proprio dall’impianto di un embrione “vecchio” di 27 anni nell’utero della madre non genetica.

In Italia, invece, il destino degli ovociti fecondati congelati è quello della glaciazione eterna. Non possono nemmeno essere donati alla ricerca scientifica, per cui è evidente che per lo Stato italiano non si tratta affatto di semplice materiale genetico. Il criterio alla fin fine è tanto semplice quanto raffazzonato: se qualcuno li reclama, qualunque cosa è meglio che lasciarli nell’azoto liquido fino alla fine del mondo.