Scienza

Covid e il caso Brescia, “le varianti non sono l’unico fattore di rischio. Anche mascherine abbassate e le distanze non mantenute”

L'INTERVISTA - Il virologo Massimo Clementi: "La vaccinazione è la strada maestra per ridurre la circolazione del virus. Teniamo duro anche qualche mese. Entro Aprile arriveranno altre dosi e l’aumento delle temperature e i raggi ultravioletti, come in tutte le infezioni respiratorie, rappresentano un impedimento alla diffusione del virus. Sia perché le persone frequentano meno i luoghi chiusi, sia perché il virus è meno stabile"

Preoccupa l’esplosione di Covid nella provincia di Brescia, la prima in Lombardia per numero di nuovi casi (787) registrati nell’ultimo bollettino diffuso ieri (e riferiti alla giornata di giovedì 18 febbraio). Superando anche Milano (785). Come era già accaduto lunedì scorso. Il territorio bresciano, già duramente colpito durante la prima ondata della pandemia come quello di Cremona e di Bergamo, oggi sta vivendo una nuova emergenza con un comune (Castrezzato) finito in zona rossa per contenere i focolai. “C’è senz’altro una ripresa dell’infezione dopo il decremento estivo e la situazione di stabilità dei mesi scorsi. Ma mentre nella seconda ondata c’era l’idea che potesse esserci una diffusione maggiore del virus nelle zone più risparmiate durante la prima, adesso questa correlazione viene smentita” dichiara a ilfattoquotidiano.it Massimo Clementi, direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’ospedale San Raffaele di Milano e membro della Società italiana di virologia.

E allora da che cosa dipende questo aumento record di positivi?
Alla base possono esserci le modalità di trasmissione del virus, e quindi i comportamenti scorretti delle persone che, stanche delle restrizioni, abbassano la mascherina, si incontrano nelle case senza dispositivi di protezione, affollano le vie dello shopping. Ci sono i ristoranti che si riempiono all’ora di pranzo senza mantenere le dovute distanze di sicurezza tra i tavoli. Questo favorisce naturalmente il contagio.

Potrebbe essere dovuto anche alla circolazione sempre più diffusa delle varianti del virus?
Anche. Ma le varianti non sono l’unico fattore di rischio. Ripeto, contano soprattutto i comportamenti di prevenzione adottati dai cittadini. Infatti il ministero della Salute sta studiando una strategia di lockdown più mirata. E questo può servire a responsabilizzare di più le persone. Mi spiego meglio. La storia delle varianti è stata raccontata male secondo me. Perché il virus si trasmette proprio attraverso le sue varianti. Quando Sars-Cov-2 è entrato in Italia aveva già una variante diversa rispetto a quella cinese. Gli orientali per motivi genetici hanno una concentrazione piuùalta di proteina Ace2, il recettore umano a cui si lega la proteina spike del virus per entrare nelle nostre cellule, rispetto agli americani e gli europei: quindi il virus si è dovuto adattare. Di varianti se ne formano in continuazione, durano solo pochi giorni se non conferiscono vantaggi al virus, perdurano se invece gli danno la possibilità di replicarsi più facilmente come nel caso della variante inglese, generando perciò più contagi e più malati. Fino adesso però le nuove varianti non sono più patogene, non provocano cioè forme cliniche più gravi.

È sbagliato dunque pensare che oggi l’immunità creata nella popolazione durante la prima ondata sia messa in pericolo dalle nuove varianti del virus?
Chi è immune è immune anche dalle varianti, certo. Anche i vaccini prevengono le infezioni delle eventuali varianti, in particolare quello della Pfizer e di Moderna. C’è solo qualche dubbio da verificare sul vaccino di Astrazeneca per la variante sudafricana. In Israele, dove circola molto la variante inglese, è stato già visto che vaccinando i soggetti over 50 si riduce molto l’ospedalizzazione e il numero di nuovi casi. La vaccinazione è la strada maestra per ridurre la circolazione del virus. Teniamo duro anche qualche mese. Entro Aprile arriveranno altre dosi e l’aumento delle temperature e i raggi ultravioletti, come in tutte le infezioni respiratorie, rappresentano un impedimento alla diffusione del virus. Sia perché le persone frequentano meno i luoghi chiusi, sia perché il virus è meno stabile.