Cronaca

Torna lo sci, ma le grane non sono finite qui

Mentre i riflettori sono accesi sui Mondiali di sci a Cortina, in molte località turistiche dell’arco alpino si sta lavorando per l’imminente riapertura degli impianti da discesa. Il protocollo che prevede un contingentamento del numero di sciatori e varie misure di prevenzione è stato approvato dal Comitato Tecnico Scientifico, manca solo l’autorizzazione ufficiale del governo. Tra il 15 e il 17 febbraio sarebbero le date già previste nei principali comprensori, dalla via Lattea piemontese che aprirebbe per prima, ai grandi caroselli trentini, passando per Lombardia e Veneto.

Resta sicuramente fuori – e non è un’area di poco conto – l’Alto Adige, dove sono cominciate tre settimane di lockdown ancora più rigido dei precedenti, con l’introduzione del divieto ai residenti stessi di uscire dal proprio comune, mentre finora per le attività sportive c’era libertà di movimento.

Questa è solo una piccola grana tra le tante, urgenti, che devono affrontare Mario Draghi e il suo futuro ministro della Sanità. Il punto chiave è che in molte regioni alpine non esiste un potenziale di utenti interno sufficiente a giustificare i costi d’apertura degli impianti da sci, con l’eccezione forse di Lombardia e Piemonte, e quindi, come invocano prima di tutto dalla Val d’Aosta, servirebbe la riapertura totale dei confini tra le regioni gialle. Dando credito alle indiscrezioni di questi giorni, il presidente del Consiglio incaricato vorrà essere ‘riaperturista’ e vocato al rilancio dell’economia nazionale, turismo in primis. Ma con lo sci il nuovo governo Ma-Dra (Mattarella-Draghi) rischia un piccolo ribaltamento in Dra-Ma.

E’ acclarato che riaperture anche solo parziali e controllate, come la recente esperienza austriaca insegna, non evitano di trasformare in pericolose occasioni di contagio attività che definire essenziali e popolari sarebbe davvero un azzardo, come lo sci su pista e quasi tutti gli sport invernali: dopo uno studio attento, nel Tirolo del Nord si sono resi conto che i primi cinque casi di pazienti Covid con varianti sudafricana o inglese, erano riconducibili a località sciistiche (tra l’altro due erano proprio lavoratori funiviari).

Ma ancor più dolente, se non si vuol credere agli epidemiologi, è il tasto dei riflessi automatici negativi sulle struttura sanitarie in generale, e delle emergenze in particolare. Il numero degli incidenti legato allo sci è abbastanza alto, e non tutti posti vantano strutture ad hoc, come il Codivilla di Cortina o l’Ortopedia-Traumatologia di Sondrio. In Val d’Aosta, per esempio, a dicembre i medici dell’ospedale sono riusciti a far capire al presidente della Regione che il sistema sarebbe collassato con la consueta quarantina d’interventi in più a week-end da traumi sulle piste o, peggio, lungo i fuoripista.

Del resto, basta vedere che cosa è successo nelle ultime settimane, nonostante il lockdown, e in particolare dopo che si è affermata un’interpretazione più aperta delle norme sull’attività sportiva, oltretutto in un inverno come questo dove le precipitazioni nevose sono state abbondanti: la solita teoria di valanghe e cadute, un po’ ovunque lungo l’arco alpino.

E’ vero che i governi regionali, come quello lombardo, non pubblicizzano i dati perché vorrebbe veder riaperto tutto, ma in queste settimane è stato purtroppo alto il numero degli incidenti, anche mortali, con grande impegno del personale e delle strutture d’emergenza, per esempio degli elicotteri del soccorso (anche tre contemporaneamente, e magari pure di domenica). Purtroppo, a volte hanno giocato un ruolo non indifferente l’imperizia e il mancato rispetto delle leggi, come quella regionale che prevede l’obbligo dell’apparecchio di ricerca antivalanga per sci-alpinisti e ciaspolatori, per non dire degli ‘odiati’ divieti locali.

Qualcosa comincia a muoversi, fortunatamente, anche in positivo, ora che il numero di praticanti degli sport di montagna si è davvero molto ampliato. In questo periodo di lockdown, per esempio, non sono certo mancati gli iscritti alle giornate di addestramento all’autosoccorso che alcuni gruppi di guide alpine propongono ai clienti, accanto alle tradizionali e più scintillanti offerte o al termine dei corsi tradizionali. Non dico che dovrebbe essere obbligatorio, ma quasi, passare una mezza giornata d’inverno, che so?, dietro ai Bagni di Masino a giocare con pala, sonda e Arva ascoltando le indicazioni di Daniele Fiorelli, che ha una spiccata vocazione per questa didattica, dato che insegna il soccorso in valanga anche ai suoi futuri colleghi.

Non bastano i protocolli sanitari per gli impiantisti, ci vuole un grande sforzo per rieducare i fruitori della montagna al rispetto dell’ambiente e del buon senso, che oggi vuol dire prima di tutto attenzione a non stressare ulteriormente il sistema sanitario pubblico.

A proposito di debiti buoni o cattivi, una Val d’Aosta che è andata in rosso per il Casinò o per finanziare le perdite di tanti impianti di risalita, anche sotto i mille e 500 metri di quota, non avrebbe fatto meglio a investire di più sull’educazione dei turisti e sulla prevenzione? Speriamo che a un governo Ma-Dra non sfuggirà certo l’urgenza, più che di una precipitosa riapertura allo sci in piena pandemia, di una transizione green e di una riconversione culturale anche del turismo e degli sport invernali.