Calcio

Roman Abramovich, l’oligarca incupito: l’addio a Lampard e i 250 milioni spesi per il suo Chelsea mediocre

La decisione di cacciare la bandiera diventata manager è figlia di un mercato faraonico che nell'anno del Covid ha portato a Londra Havertz e Timo Werner. I risultati però non sono quelli che sognava il miliardario russo, amico di Putin e segnalato da Navalny tra i "complici e beneficiari della cleptocrazia” al potere a Mosca

Le trenta casse di vodka in omaggio alla squadra per aver conquistato la finale di Champions League del 2008, giocata a Mosca e persa ai rigori contro lo United di Cristiano Ronaldo, sono ormai un lontano ricordo. Oggi raccontano di un Roman Abramovich parecchio incupito, spazientito dai fin qui altalenanti risultati del suo Chelsea costretto a inseguire il quarto posto in una classifica che in Premier non è mai stata così aperta. E non si tratta di un discorso globale perché i Blues negli ultimi anni qualche soddisfazione l’hanno ottenuta. La clamorosa e improbabile scalata di Di Matteo nel 2012, il titolo vinto da Conte nel 2017 o l’Europa League che Sarri riportò a Londra, solo per citare qualche esempio. Il recente esonero di Frank Lampard è il concorso di colpa in una strategia che in Europa ha preso piede da un po’ e non sempre ha regalato i suoi frutti: bandiere che diventano manager (a volte senza la minima gavetta), che iniziano a lavorare tra l’entusiasmo dei tifosi e le coccole delle società e che finiscono in netto anticipo con un ‘Arrivederci e grazie’. Il caso più emblematico è quello di Pippo Inzaghi, nominato tecnico della prima squadra del Milan dopo un paio di stagioni alla guida di Allievi e Primavera. Le statistiche non mentono e lo hanno eletto tra i peggiori allenatori (per media punti) dell’era Berlusconi facendolo “scivolare” in Lega Pro con il Venezia. Ma sono rischi che vanno calcolati in preventivo, il calcio è passione per chi lo guarda e business per chi ci lavora e come tale va trattato. La formula perfetta non esiste, tant’è che le storie di Guardiola al Barcellona e Zidane al Real Madrid hanno dimostrato il contrario.

Le decisioni odierne di quell’uomo, agli albori solo un venditore di giocattoli fatto a pezzi dalla concorrenza cinese e ora tra i più ricchi del pianeta con un patrimonio che nel 2020 ha raggiunto i 12 miliardi di dollari, passano dalla campagna acquisti messa a punto per il suo Chelsea in estate. Abramovich ha monopolizzato il mercato nell’anno più difficile, quello del Covid, arrivando a spendere circa 250 milioni di euro per fornire a Lampard una rosa in grado di aggredire sin da subito la vetta della Premier League. Dagli 80 (ma con i bonus arriveranno a 100) per Havertz ai 50 e più per l’ex attaccante del Lipsia Timo Werner. Sforzi economici che l’oligarca russo avrebbe voluto vedere ripagati sul campo e che invece sono stati invalidati da un tecnico che anche per mancanza di tempo non ha avuto la possibilità di far fruttare. Il comunicato che ne ha annunciato il licenziamento, in parte camuffato da alcune note di dolore e delusione, è stato piuttosto duro: “Le recenti prestazioni hanno lasciato il club a metà classifica senza un percorso chiaro per un miglioramento concreto”. Certo è che soddisfare le richieste di un patron come Abramovich è un’impresa assai eroica: non è ai livelli dei nostri Cellino e Zamparini, ma l’etichetta di mangia-allenatori gli calza a pennello. Basti pensare che in 18 anni la panchina dei Blues ha cambiato dodici volte padrone. E spesso non si è capito neanche il perché. Ranieri venne rimpiazzato da Mourinho nonostante la semifinale di Champions e il secondo posto di Premier, Sarri dopo la vittoria di Europa League anticipò la fine del proprio contratto ufficialmente per la voglia di tornare in Italia, ufficiosamente per un feeling mai sbocciato con la tifoseria che a più riprese a Stamford Bridge faceva risuonare il coro ‘Fuck Sarriball!’.

La figura di Abramovich continua a far discutere anche lontano dal campo ed è stata (ri)tirata fuori da Alexei Navalny, simbolo della lotta al potere di Putin recentemente arrestato a Mosca dopo essere rientrato dalla Germania. L’ultima inchiesta pubblicata dall’oppositore ha fatto luce su una presunta residenza da più di un miliardo di euro che il leader del Cremlino avrebbe fatto costruire sulle rive del Mar Nero con il finanziamento, in parte illecito, di alcuni uomini che occupano dei ruoli chiave all’interno della Federazione. Un complesso monumentale enorme che l’FBK ha definito come una nuova Versailles e ha svelato in tutta la sua maestosità: una chiesa, delle piste di atterraggio e un ponte che permette di raggiungere il mare. Un progetto rifinito in uno stile ‘italianeggiante’ da ricondurre a Villa Certosa di Silvio Berlusconi. Nel 2012 il magnate (e informatore) russo Sergei Kolesnikov ha fornito alla BBC dei documenti che proverebbero l’esistenza di un fondo segreto “tenuto in vita” da numerosi oligarchi, tra i quali anche il proprietario del Chelsea, e che sarebbe tornato utile nella costruzione della tenuta che il presidente ha sempre negato di possedere. Il rapporto che lega Putin ad Abramovich è quello di un racconto inaugurato addirittura negli anni ’90, quando tra regali ultra-milionari (il primo ricevette uno yacht dal secondo) e la vendita di una compagnia petrolifera (la Sibneft) a una delle imprese più redditizie dell’intera Russia (la Gazprom) i due cominciarono ad andare a braccetto senza più staccarsi. L’attacco frontale di Navalny non si è mica fermato, dato che negli ultimi giorni, attraverso il suo principale collaboratore, Vladimir Ashurkov, è stata resa nota una lista di otto uomini che secondo il dissidente meriterebbero di essere sanzionati dai governi occidentali “perché complici e beneficiari della cleptocrazia russa”. E sì, sul post che è stato pubblicato su Facebook spiccano le generalità di Roman Abramovich.