Cultura

La solitudine, la ludopatia, l’immigrazione: come un incontro per caso (su una panchina) può far rialzare la testa e riscoprire il senso della vita

In uscita da Erasmo "La sceneggiatura" di Maurizio Mini che attraverso la storia di Brando, pensionato disilluso e giocatore incallito alle prese con gli strozzini, e di Nina, ragazza venuta da molto lontano. Attraverso la conoscenza reciproca entrambi troveranno una luce di speranza

Un incontro casuale su una panchina di una piazza può ribaltare il proprio punto di vista, può rovesciare la visione sul mondo e su se stessi, può invertire il corso della propria vita? E’ la storia raccontata da La sceneggiatura (edizioni Erasmo, 160 pagg., 15 euro), primo romanzo di Maurizio Mini, livornese, 70 anni, giornalista e grande esperto di musica (e in particolare jazz), sport e della sua città, Livorno. L’ossatura del libro ha al suo centro Brando, frequentatore di sale corse e giocatore incallito, disilluso e indebitato, ammaccato dall’età e dai problemucci con gli strozzini, che nella vita si butta da una parte all’altra della giornata senza quasi senso se non le puntate sull’ippica. E’ lui che si imbatte per caso (e all’inizio controvoglia) in Nina, che lavora come badante e porta con sé un passato doloroso che viene da parecchio lontano. I racconti di lei, di molto più giovane, cambieranno il modo di vedere di lui che guarderà con occhi diversi al senso della sua vita, ai suoi ricordi dell’infanzia e della giovinezza, alle persone che lo circondano, dai commercianti “nuovi italiani” al vecchio panettiere comunistone.

La copertina è firmata da LaTram

Un libro che ha quasi la forma di uno scrittoio: in ogni cassetto c’è una storia, c’è un pezzo di mondo. Quello piccolo di una città di provincia, quello grande che porta in quella città nel bene e nel male le contraddizioni del mondo iperconnesso. Se la solitudine è un filo rosso che segue tutta la trama principale del racconto, lo sviluppo del racconto incrocia temi di stretta attualità come la ludopatia e il burrone del gioco d’azzardo e delle scommesse o ancora l’immigrazione, visto che una delle protagoniste, Nina, si trova a Livorno dopo un viaggio tremendo lungo la rotta balcanica. Brando è descritto come un ex comunista che la pochezza della sua vita, l’abbrutimento della mancanza di una famiglia, la ricerca nelle corse dei cavalli di una fortuna che non arriva mai ha trasformato in un insoddisfatto, in una specie di forgotten man. Ma la conoscenza di Nina farà cambiare colore al suo umore di sempre, a cambiargli la prospettiva, ad aprirgli un po’ di più gli occhi e le orecchie. Il motivo è la vicinanza alla vita drammatica da Nina, una sopravvissuta. A spingerla a lasciare il suo Paese è stata la strage alla quale è scampata, quella di Beslan, una storia tragica e recente che si è persa presto nella memoria collettiva: 334 morti di cui 186 bambini. Ma poi l’esercito si fece avanti e gridavamo “Assassini! Fermatevi! Non vedete! Noi siamo i bambini!” è il verso di una canzone di Francesco De Gregori che ricorda quella mattanza, Il vestito del violinista.

Inevitabilmente nel libro c’è tantissima Livorno. I luoghi, innanzitutto, quelli nominati e quelli riconoscibili (da chi conosce la città toscana). E poi un pezzo di pantheon livornese: Amedeo Modigliani, come sempre, e Piero Ciampi, che al mondo delle scommesse, al vortice del rilancio compulsivo, era tanto avvezzo da scriverci una delle sue canzoni più celebri, Il giocatore. “Buongiorno. Cinquecentomila su Barbablù. Sì, poi gioco. Questa accoppiata. Barbablù con Rommel. Cinquecentomila, sì. Senta e poi gioco. Ancora centomila… Su, su Barbablù naturalmente. Sì. Merda!”.

Gli incontri con Nina rimettono, giorno dopo giorno, un po’ più in piedi il mondo storto di Brando. A prescindere da come vada a finire (il lettore avrà la curiosità di capirlo) e quale sbocco abbia questa serie di incontri prima casuali e poi cercati, a prescindere da questo sentimento un po’ adolescenziale tra un signore più che attempato e una ragazza cresciuta suo malgrado troppo in fretta, la storia lascia in dote un piccolo insegnamento: resta una piccola lezione su quanto può essere fragile la fragilità. Può essere sufficiente un benedetto “incidente” per rialzare la testa e riscoprire l’orizzonte.