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Il Congresso Usa attaccato dall’Armata Brancaleone ‘trumpiana’. Ma la democrazia vince

La democrazia americana è rimasta solo per poche ore ostaggio dei facinorosi “trumpiani” che ieri hanno preso d’assalto il Campidoglio: quando a Washington erano ormai passate le tre del mattino, il Congresso, in plenaria, ha proclamato Joe Biden e Kamala Harris presidente e vice-presidente degli Stati Uniti. Come previsto, giureranno e si insedieranno il 20 gennaio. L’annuncio è stato fatto dal vice di Trump, Mike Pence, finalmente sottrattosi, come il leader dei senatori repubblicani Mitch McConnell, al giogo e al controllo del magnate presidente.

La sommossa aizzata da Donald Trump ha solo ritardato di una dozzina d’ore un epilogo già scritto con il loro voto dai cittadini americani il 3 novembre e passato attraverso il setaccio delle procedure istituzionali e costituzionali degli Stati Uniti.

La democrazia ha vinto, ma il bilancio è stato pesante: quattro morti, fra cui una donna, 13 feriti e 52 arresti la sintesi – provvisoria – degli incidenti di ieri a Washington, dove centinaia di sostenitori di Trump, sobillati dal magnate che non accetta la sconfitta, hanno investito la sede del Congresso, costringendo a sospendere la ratifica dei risultati delle presidenziali, con la vittoria di Biden.

Per molti commentatori è stato “terrorismo domestico”. Biden dice: “Questa non è una protesta, è un’insurrezione”. E’ probabile che il bilancio, specie degli arrestati, si aggravi nelle prossime ore. La donna uccisa, Ashli Babbit, veterana dell’aeronautica, veniva da San Diego: è stata raggiunta da colpi sparati con l’arma di servizio da un agente in uniforme della polizia del Campidoglio – un’inchiesta è in corso, ha detto il capo della polizia di Washington. Gli altri decessi sono avvenuti per emergenze e complicazioni mediche, durante le proteste.

Degli arresti, 26 sono stati fatti sul Campidoglio. Molti manifestanti pro-Trump sono stati fermati per violazione del coprifuoco, che è stato decretato a Washington e nel Nord della Virginia, specie ad Arlington e ad Alexandria, e che resterà in vigore nella capitale fino al 21.

A tarda sera, ora di Washington, la sessione plenaria del Congresso è ripresa, dopo che tutta l’area del Campidoglio era stata sgomberata e “bonificata”. Il Senato e la Camera hanno separatamente respinto la mozione di parlamentari repubblicani che contestavano i voti del Collegio elettorale dell’Arizona: al Senato 93 no e 6 sì – meno della metà di quelli previsti, prima della sommossa; alla Camera, invece, 309 no e ben 122 sì, tutti repubblicani (su 211), poco meno dei 140 previsti.

In sessione plenaria, il Congresso ha poi ripreso la ratifica dei voti del Collegio elettorale Stato per Stato, fino a quelli della Pennsylvania, messi pure in discussione. Dopo dibattitti separati, Senato e Camera hanno di nuovo respinto la contestazione, con analoghe maggioranze. E s’è così finalmente arrivati alla proclamazione.

Durante la sommossa e nelle ore immediatamente successive, ci sono state numerose dimissioni nell’Amministrazione Trump: uomini e donne critici dell’atteggiamento del presidente, che, anche quando ha tardivamente detto ai suoi sostenitori di andare a casa, ha insistito: “Questo è quello che succede quando si rubano le elezioni”. Ma s’è rassegnato a lasciare la Casa Bianca il 20 gennaio.

Twitter e altri social hanno bloccato l’account del magnate per i suoi post incendiari. E c’è chi evoca, o invoca, il ricorso all’articolo 25 della Costituzione, che prevede che il vice-presidente sostituisca il presidente quando questi non è in grado di svolgere il proprio compito. Altri parlano d’impeachment, ma ne mancano i tempi.

E’ stato il giorno più nero della democrazia americana: un giorno nero innescato da un presidente che non avrebbe mai dovuto essere scelto e che non accetta di andarsene dopo essere stato bocciato, nelle elezioni del 3 novembre, nel voto popolare – 80 milioni di suffragi a Joe Biden, 74 a lui – e nel meccanismo costituzionale dei Grandi Elettori – 306 per Biden e 234 per lui.

Donald Trump è il grande perdente di una giornata il cui bilancio è tragico: fa perdere al suo partito i ballottaggi in Georgia e la maggioranza in Senato, dopo avere perso la Casa Bianca; e perde tutta la credibilità che gli resta, se gliene resta, e se ne ha mai avuta, arringando a suon di falsità la banda di facinorosi suoi sostenitori “convocati” a Washington perché si facciano sentire. I suoi fidi o lo abbandonano o porteranno ormai per tutta la loro vita politica le stimmate dei succubi d’un leader senza virtù e senza vergogna.

Suprematisti e rednecks, razzisti e fondamentalisti, complottisti e cospirazionisti, l’Armata Brancaleone “trumpiana” esegue l’ordine del “comandante in capo”. Lo scenario è da guerra civile: la capitale dell’Unione blindata da polizia e guardia nazionale e centinaia, non più di un migliaio, di violenti che assediano e danno l’assalto al Campidoglio e vi si introducono, alcuni armati, costringendo i funzionari ad evacuare due edifici e i parlamentari a sospendere i lavori.

Transenne divelte, vetri infranti, muri scalati; e, dentro l’edificio, le maschere anti-gas contro i lacrimogeni sostituiscono le mascherine anti-Covid. Il tutto sventolando bandiere suprematiste e con richiami allo schiavismo e rivendicando il diritto alle armi.

Fatti senza precedenti a Washington. Il presidente eletto Joe Biden denuncia il presidente uscente Donald Trump per avere infiammato gli animi dei suoi sostenitori con ripetute false affermazioni sulle “elezioni rubate” e parla di minaccia inaudita alla democrazia americana. E i media contestano l’inazione del presidente, che, dopo avere fomentato i suoi fan, si limita a un appello perché rispettino la polizia e le forze dell’ordine, che “sono dalla nostra parte”.

Poi, finalmente Trump compare in televisione, dopo che Biden quasi gli ha ingiunto da farlo: “Andate a casa”, dice, insistendo, però, che le elezioni gli sono state rubate e criticando il suo vice, Pence, che non lo ha “difeso”.

Eppure, la democrazia americana riesce alla fine a celebrare i suoi riti: la Georgia affida il controllo del Senato ai democratici, che vincono entrambi i ballottaggi – l’esito sarà presto ufficiale; e il Congresso formalizza il successo di Biden nelle presidenziali, riconoscendogli il diritto d’insediarsi alla Casa Bianca il 20 gennaio. Per almeno due anni, Biden potrà governare con l’appoggio di tutto il Congresso e trasformare le promesse in decisioni.

Il magnate presidente, che vuole sempre vincere, si trova cucita addosso l’etichetta di loser, perdente. I suoi fedelissimi, chiamati a raccolta da tutta l’Unione, sono una banda di facinorosi, violenti e nutriti d’astio e risentimento. Nelle strade di Washington, ieri, non c’era il milione di neri di Martin Luther King o il milione di donne del giorno dopo l’insediamento di Trump, c’era la fetta d’Unione più nera a razzista. Anche questa è America, ma non è l’America.