Società

Das ‘primula’, la campagna per i vaccini come uno spot di Stato. E questo non mi pare un bene

di Germano Fiore

Ogni campagna pubblicitaria che si rispetti deve avere un motto. I più famosi sono quelli delle case automobilistiche rilanciati per anni come tormentoni: all’avanguardia della tecnica, “the best or nothing”, “das auto”, “alla perfezione”, per citare quelli che ricordo a memoria, tradendo la mia germanofilia automobilistica.

Le campagne pubblicitarie implicano che vi sia qualcosa da vendere e qualcuno da convincere ad acquistare. Che vi sia un gioco a somma zero tra le parti: un’azienda che guadagna denaro e un compratore che perde la stessa somma (in cambio di utilità o piacere). Il mercato implica, inoltre, che il compratore venga indotto a comprare quella cosa tra le tante disponibili, in virtù di qualità speciali che ai competitor mancano (sempre per restare nelle auto: sicurezza, velocità, prezzo conveniente etc.).

Le primule “arcurboeriane” applicano lo stesso principio. Creano un logo e un format architettonico al fine di rendere il prodotto riconoscibile sul mercato ed indurre fidelizzazione nella clientela. Stesso discorso vale per l’idea di istituire un vax-day in Europa, tutti insieme a iniziare a vaccinarci con titoloni a 9 colonne e fotografie segnanti.

In America, che spesso è “avanti”, è stata scelta come “testimonial” un’infermiera di colore, non Angelina Jolie né LeBron James, anche questa è una scelta di propaganda che veicola un messaggio ed individua un target di “clientela”.

Premesso che questo non è propriamente il mio campo di interesse, e che pertanto avrò semplificato brutalmente un argomento nobile che rappresenta la professione di tanti, mi nasce qualche domanda.

  1. Quale è il messaggio implicito che si veicola con questa modalità di comunicazione?
  2. I cittadini sono potenziali clienti, in uno stato di diritto?
  3. La sanità pubblica può essere oggetto di fidelizzazione?
  4. E ancora, i cittadini sono clienti dello Stato?

Credo che il messaggio implicito sia che ci si può non vaccinare, e questo non è un bene. Se c’è qualcuno da “convincere” vuol dire che c’è scelta e se c’è scelta vuol dire che la stessa può non essere operata o può essere operata in favore di qualcun altro. Mi spiego meglio: se vado convinto a vaccinarmi vuol dire che avrei dei motivi validi per non farlo o, ma non è questo il caso, per farlo diversamente. La mente legge anche questo, o forse di più questo rispetto al senso di rinascita primaverile di fiorellini di campo e non.

I cittadini sono lo Stato, non sono clienti dello Stato. Sono, nella nostra democrazia rappresentativa, l’impalcatura su cui si regge l’intero sistema parlamentare: trattarli da clienti non solo li pone nella condizione di operare una scelta ma fa apparire tale scelta come una opzione in cui il vaccinarsi o meno ha lo stesso peso in termini di sanità pubblica.

La sanità pubblica: che bella cosa. Questo sì che sarebbe un fiore da valorizzare. L’idea che la salute del singolo non è solo nostra ma un po’ di tutti gli altri. Che se sto bene io anche gli altri stanno meglio e lo Stato, tutto insieme, fiorisce nello stare bene. E’ un bonsai: piccolo, difficile da coltivare ma che, visto da vicino, fa morire di invidia le sequoie della California. La sanità pubblica è un bene supremo che non richiede clienti fidelizzati ma attori più o meno consapevoli del bene comune, figli dell’identità nazionale e della qualifica di essere umano in senso più generale.

Credo in tutto ciò che ho scritto, ma non condivido tutto ciò che ho scritto.

In una pandemia i cittadini non possono essere clienti da fidelizzare secondo il modello arcurboeriano ma non possono nemmeno essere lasciati liberi, con le loro scelte, di mettere in pericolo il bene comune.

A mio parere l’attuale esecutivo sta regalando l’illusione della scelta solo perché, ad oggi, non ci sono vaccini per tutti e quindi non è possibile statuire l’obbligatorietà. In questa fase di transizione, lunga, i cittadini-clienti verranno indotti a scegliere di vaccinarsi nella speranza che il numero sia crescente. Quando ci saranno più vaccini che deltoidi, se non si sarà raggiunto il 70% di vaccinati necessario all’immunità di gregge, scatterà l’obbligo e sarà un bene per tutti, primule incluse.
#pauranoidiozianemmeno@sunballo