Politica

Patrimoniale, invece di punire la ricchezza andrebbe premiato chi ne fa un uso migliore

Sembra incredibile a dirsi, dopo queste ultime intense nevicate, ma quest’anno in Italia persino gli orsi sono andati in letargo con un certo ritardo, a causa delle temperature più elevate del solito nel mese di novembre. Così, almeno, hanno potuto cogliere l’opportunità di farsi qualche bella scorpacciata di faggiole. Queste piccole castagne a triangolo sono i gustosi frutti del faggio, parenti stretti delle noci anche per proprietà nutritive (contengono vitamine del gruppo B, nonché potassio, zinco, ferro e acidi grassi insaturi).

Qualche mamma orsa è stata notata con i cuccioli a grufolare nei boschi, sotto i faggeti. Alla fine, prima di andare a dormire per tre-quattro mesi, i nostri orsi hanno lasciato solo la traccia inconfondibile di una pista di orme nello spettacolare anfiteatro di Pian della Nana, sotto le cime del Brenta settentrionale.

Negli stessi giorni, con la proposta di una tassa straordinaria, a partire dai 500 mila euro di patrimonio, casa inclusa, hanno provato a lasciare qualche segno in giro anche gli ultimi orsi statalisti comunisti a oltranza, che invece di continuare a giocare con la Playstation dovrebbero leggere almeno Koba il terribile di Martin Amis. Sono scesi in campo per una nuova tassa sulle ricchezze anche un pugno di neo-liberal-socialisti di complemento.

Tutti, improvvisamente, dimentichi che in Italia non c’è quasi più nessuna famiglia davvero importante (in ordine alfabetico: Agnelli, Benetton, Berlusconi, De Benedetti, Del Vecchio, Ferrero e via elencando) che non abbia già solidamente nascosto proprietà e ricchezze nelle tane fiscali d’Europa e di mezzo mondo.

E poi, suvvia, non siamo ipocriti: da anni basta avere un capitale di una certa consistenza per sentirsi proporre “ombrelli” di vario genere, sotto i quali nascondere la ricchezza, per evitare anche le tasse di successione e le eventuali patrimoniali. Basta bussare alla porta di qualunque gestore di patrimoni, a partire da quelli affiliati alla prima grande banca e alla ben nota primaria assicurazione – società, peraltro, che insieme detengono una fetta enorme del nostro debito pubblico.

Ma il tema chiave che anche questa crisi da emergenza pandemica suggerisce non è di tipo fiscale, bensì casomai proprio di rimettere in equilibrio il concetto stesso di ricchezza e proprietà. Oggi sono soprattutto i cattolici francescani (cioè vicini all’attuale Papa e sostenitori della terza via tra Marx e il Capitale, ribadita nell’enciclica Fratelli tutti) a ricordarci l’importanza di una riscoperta dei valori della cosiddetta “destinazione universale” di beni e denari.

Invece di punire proprietà e ricchezza bisognerebbe premiare chi ne fa un utilizzo migliore. E anche volendo simbolicamente tassare i patrimoni, per esempio, da 50 milioni di euro in su, come ha suggerito Beppe Grillo, sarebbe ben diverso, rispetto al prelievo forzoso e indiscriminato di una percentuale, introdurre qualche meccanismo straordinario analogo al cinque per mille, dove almeno la scelta della destinazione socialmente utile resta al cittadino contribuente.

L’economista Leonardo Becchetti ha definito “voto col portafoglio” il meccanismo con cui il consumatore equo e solidale esprime una sorta di sovranità politica premiando aziende e Paesi più responsabili, per contribuire a migliorare la società e l’ambiente. Il circolo virtuoso che si può innestare con tante piccole scelte è un meccanismo naturale, davvero, come quella di mamma orsa che fa nutrire di faggiole i cuccioli prima dell’inverno.

Lo suggeriscono tanti esempi persino in questo periodo di spese e di sprechi prenatalizi. Questa stessa piccola riflessione, in fondo, nasce dal desiderio di condividere il “panettone solidale” del pluripremiato chef pasticciere Andrea Tortora per la Costa foundation: è solo come se tagliassimo una fetta in più, invisibile, del dolce delle feste, per dare un piccolo contributo mirato ai meno fortunati, in questo caso al nuovo progetto di una farm di permacoltura in Messico, nel Chiapas, sotto le montagne del Chichihuistan, a Lium Hà, in un’area devastata dall’inquinamento, dalla deforestazione e dal degrado sociale. Il dolce in questione è andato esaurito in un battibaleno, ma il progetto Lium Hà resta.