Economia

Sui fondi europei per la sanità del Mes tanta ideologia e poca aritmetica. In ogni caso il prestito non ci cambierà la vita

Alla fine i risparmi sarebbero di 2,5 miliardi in dieci anni su una spesa di 600 miliardi. E si tratta di risparmi ipotetici che potrebbero sparire in un battito di ciglia se i mercati penalizzassero, anche minimamente, chi fa ricorso al prestito europeo. Eppure il Mes viene dipinto come se fosse un'occasione irripetibile in grado di risolvere tutti i guai della nostra sanità

Va dato atto al ministro dell’Economia Roberto Gualtieri di essere forse l’unico a guardare alla questione Mes con lucidità ed oggettività. A dispetto del gigantesco dibattito che si è scatenato sul tema, questi fondi non ci cambieranno la vita, sia che vengano presi sia che no lo si faccia. “Sono risorse meno decisive di quanto si pensa”, ha spiegato Gualtieri aggiungendo che “l’Italia ha tutte le risorse necessarie” e sui mercati “c’è una forte fiducia, anche oggi abbiamo toccato il minimo storico del rendimento del nostro Btp decennale”. Le spese sanitarie andranno fatte, indipendente da come verranno finanziate, ha spiegato il ministro. Il Mes è un prestito, così come lo sono i Btp.

I risparmi del Mes? Spiccioli, forse – Non c’è bisogno di essere il ministro dell’Economia per rendersene conto. Basta fare due calcoli abbastanza semplici. La dotazione del Mes per l’Italia è di 36 miliardi di euro, le scadenze dei prestito sono tra i 7 e i 10 anni con tassi sostanzialmente a zero (poco di più sul prestito a dieci anni). Ipotizziamo che l’Italia decida invece di reperire la stessa cifra direttamente sul mercato, emettendo Btp. Oggi i rendimenti italiani sono negativi o a zero fino alla scadenza triennale. I Btp decennali sono ai minimi storici, con cedole dello 0,7%. Significa che emettendo Btp decennali per 36 miliardi di euro, dovremmo pagare ogni anno interessi per 250 milioni all’anno, su una spesa complessiva per interessi che vale ogni anno poco meno di 60 miliardi di euro. Se estendiamo il calcolo a tutti i 10 anni della durata dei Btp, l’ipotetico risparmio sarebbe di 2,5 miliardi di euro su una spesa complessiva nell’ordine dei 600 miliardi. Quanto ai potenziali risparmi insomma, nella scala dimensionale della finanza pubblica, stiamo parlando di spiccioli.

Perché il Mes potrebbe anche essere un costo – C’è poi un grosso punto interrogativo, quello che è noto ai mercati come “effetto stigma”. Di cosa si tratta? In generale il fatto che un paese ricorra all’aiuto di un terzo soggetto (in questo caso la Ue) per finanziarsi, invece che provvedere autonomamente, può essere interpretato come un segnale di debolezza. In questo caso i dubbi sulla capacità di un paese di ripagare i suoi debiti aumentano e quindi gli investitori chiedono interessi più alti per prestare i loro soldi. Insomma il ricorso al Mes potrebbe rivelarsi un boomerang in termine di convenienza per le nostre casse pubbliche. L’Italia ha bisogno di emettere ogni anno circa 300 miliardi di euro in titoli di Stato, dieci volte il valore del Mes, basta un aumento dello 0,1% sui tassi medi per azzerare completamente i benefici dei soldi di Bruxelles. Non è detto che questo accada ma non lo si può escludere. Resta il fatto che sinora, per questo timore, nessun paese europeo ne ha fatto richiesta. Scontato con paesi come Germania o Francia che ormai si finanziano a tassi negativi anche su scadenze decennali. Ma non lo hanno fatto neppure i paesi che come l’Italia potrebbero avere una qualche convenienza come Spagna, Grecia o Cipro. Il rischio dell’effetto stigma è stato riconosciuto anche dal governatore della banca d’Italia Ignazio Visco che pure ha suggerito di ricorrere a questa linea di credito. Secondo Visco l’importante è che questa decisione venga comunicata nel modo corretto ai mercati.

Il vincolo esterno – Come tutte la questioni che riguardano i rapporti con l’Ue, anche quella del Mes è in una certa misura politica. Qualunque siano le condizionalità a cui un finanziamento è erogato (in questo caso l’unica è di usare i fondi per la sanità) i debiti verso Bruxelles rafforzano quello che viene chiamato “vincolo esterno”, ossia i limiti che gravano sui nostri conti pubblici e su cui l’Ue ha potere di intervento. In teoria l’erogazione di questi fondi non cambia quelli che sono i vincoli su deficit e debito. Ma le condizioni insolitamente lasche sui bilanci pubblici che caratterizzano questa fase di emergenza non dureranno per sempre. E su questo punto l’Europa non si presenta certo come un monolite come dimostrano le faticose trattative sul Recovery fund con un gruppetto di paesi che pretende condizioni più severe a carico dei benficiari.

Un dibattito al 99% ideologico Ecco perché nel dibattito che si è scatenato e continua a scatenarsi sul Mes la realtà passa in secondo piano. Le cifre in gioco non valgono tutte le parole che sono state spese, da uno schieramento o dall’altro. La verità è che quello che i sostenitori del “Mes ad ogni costo” chiedono al paese è semplicemente l’ennesimo atto di adesione al progetto europeo. A questo progetto europeo, senza se e senza ma. D’altro canto si enfatizzano in modo esasperato le potenziali ricadute del ricorso al prestito in termini di rischi e di successive richieste di Bruxelles. Che probabilmente ci saranno ma indipendentemente dal Mes.