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Due ‘Beatles’ dell’Isis incriminati negli Stati Uniti: compagni di Jihadi John, sono accusati di essere responsabili di 27 decapitazioni

I due britannici El Shafee Elsheikh e Alexanda Kotey sono detenuti in una base militare americana in Iraq dal 2019, dopo la loro cattura da parte delle forze curde nel 2018. Sono accusati di far parte della cellula che uccise in video, tra gli altri, James Foley, Steven Sotloff, Alan Henning, David Haines, Peter Kassig e altri ostaggi nelle mani del Califfato

Sono diventati il simbolo del terrore quando lo Stato Islamico controllava un’ampia area di territorio tra Siria e Iraq. Le loro lunghe lame affondate nelle gole dei prigionieri ripresi negli attimi della loro uccisione sono diventate l’arma con cui il Califfato puniva i kuffar, gli infedeli. Oggi, due dei quattro Beatles dell’Isis, i britannici El Shafee Elsheikh e Alexanda Kotey, saranno trasferiti dalla base militare americana in Iraq dove sono detenuti dall’ottobre del 2019, dopo la cattura da parte delle forze curde nel 2018, agli Stati Uniti, dove sono incriminati con accuse di terrorismo per le decapitazioni di ostaggi americani e britannici. I due imputati, però, negano ogni responsabilità.

Sono loro, insieme ai loro compagni Mohammed Emwazi, meglio conosciuto come Jihadi John, ucciso da un drone a Raqqa nel 2015, e Aine Davis, rinchiuso in un carcere turco dal 2017, ad essere accusati di aver tolto la vita a James Foley, Steven Sotloff, Alan Henning, David Haines, Peter Kassig e tanti altri entrati poi nei video di propaganda circolati in tutto il mondo.

Le famiglie hanno tentato di impedire che i due, che oggi hanno 36 e 32 anni, fossero trasferiti negli Usa. In particolare, la madre di uno dei due si era appellata alla legge britannica che impedisce l’estradizione in Paesi dove si rischia la pena di morte. Ostacolo che il Regno e gli Usa sono riusciti ad aggirare con l’ok da parte dell’attorney general Usa William Barr a rinunciare alla possibilità di chiedere la pena capitale per i due se le autorità britanniche avessero consegnato rapidamente ai procuratori federali elementi a carico dei due imputati. Un tribunale britannico, così, il mese scorso ha rifiutato il ricorso della madre di uno dei due imputati.

Sono poi arrivati due settimane fa i file relativi ai due Beatles da parte dei procuratori britannici. “Noi apprezziamo il fatto che la Gran Bretagna stia fornendo elementi a sostegno dell’incriminazione e siamo pronti a vedere presto questi due imputati in un’aula di tribunale per fronteggiare la giustizia”, ha dichiarato il portavoce del dipartimento di Giustizia, Marc Raimondi. Un passaggio di consegne, questo, che comunque è avvenuto non senza turbolenze: Barr aveva dato un vero e proprio ultimatum a Londra, dicendo che se non avesse collaborato entro il 15 ottobre i due sarebbero stati trasferiti alle autorità irachene, provocando inevitabilmente la loro condanna a morte, destino di molti loro compagni in armi di nazionalità irachena.

In un comunicato diffuso dalla Foley Foundation, le famiglie delle vittime affermano che “l’estradizione e il processo negli Usa di Kotey ed Elsheikh è il primo passo nella ricerca di giustizia” per i quattro americani che “hanno visto le sofferenze del popolo siriano e volevano aiutare, con assistenza umanitaria o raccontando al mondo la crisi siriana. Speriamo che il governo americano sia in grado di mandare al mondo un messaggio importante: chi fa del male agli americani, non sfugge mai alla giustizia”.

La cellula dei Beatles, ribattezzata così per l’accento britannico dei suoi componenti nei video di propaganda e delle esecuzioni, era quella che aveva il compito di uccidere importanti prigionieri nelle mani del Califfato allora guidato da Abu Bakr al-Baghdadi e sono ritenuti responsabili della decapitazione di 27 ostaggi. I due, intervistati dal Washington Post durante la loro detenzione, hanno ammesso di aver avuto a che fare con gli ostaggi americani e britannici con il compito di ottenere informazioni dai prigionieri, a volte con la violenza, ma hanno sempre negato di aver preso parte alle esecuzioni.