Mondo

America Latina, la violenza istituzionale è un circolo che va spezzato

di Diego Battistessa*

Dai fatti di Ayoztinapa (Messico, settembre 2014), passando per San Vicente del Caguán (Colombia, fine agosto 2019) fino a Yby Yaù (Paraguay, primi giorni di settembre 2020): tre esempi, latitudini diverse ma stessa drammatica attuazione. Un circolo di violenza istituzionale, impunità e normalizzazione delle uccisioni di civili da parte dell’esercito e della polizia: tra questi, troppo spesso si trovano dei minorenni.

Il 26 settembre scorso, il Messico e il mondo hanno ricordato i 43 studenti di Iguala (Stato di Guerrero, Messico) “fatti sparire” nel 2014 mentre si dirigevano a Città del Messico proprio per ricordare (scherzi tragici del destino) il massacro degli studenti in piazza delle Tre Culture, a Tlatelolco avvenuto il 2 ottobre 1968.

La versione ufficiale dello Stato (chiamata “verità storica” e non accettata dai familiari delle vittime) racconta che l’esercito avrebbe fermato la carovana di studenti, e avendoli confusi per membri del gruppo criminale de “Los Rojos” li avrebbe consegnati al cartello rivale dei “Guerreros Unidos”. Questi ultimi avrebbero trucidato gli studenti, bruciato i loro corpi in una discarica e gettato i resti nel fiume San Juan. I familiari delle vittime e numerose organizzazioni per i Diritti Umani, scesi in piazza il passato fine settimana in Messico, continuano ad oggi una lotta che chiede verità, giustizia, fine dell’impunità per l’esercito e la polizia e soprattutto i resti dei loro cari.

Poi c’è la Colombia, un paese tornato alle cronache nostrane per la morte di Mario Paciolla, vincolata secondo le prime ricostruzioni ad un altro massacro di minorenni perpetrato dall’esercito. Questa volta siamo nel Caquetá, a San Vicente del Caguán e ad essere uccisi sono 7 minorenni che si trovano in un campamento dei dissidenti delle Farc. L’allora ministro della difesa Guillermo Botero (figlio del noto artista Fernando Botero) riceve la notizia che l’esercito ha individuato un campamento di dissidenti della Farc e che sono pronti ad attaccare. Informazioni della autorità locali avvertono però della presenza di alcuni minorenni che da pochi giorni sarebbero stati reclutati con la forza dal gruppo guerrigliero. La notizia viene silenziata e si ordina l’attacco.

Il bilancio ufficiale parlerà di 14 morti tra le Farc e di una coraggiosa operazione del grande esercito colombiano. La verità però non tarderà ad uscire e proprio la filtrazione di rapporti stilati da funzionari della Missione dell’Onu per la verificazione degli accordi di Pace (rapporti sui quali ha lavorato proprio Paciolla) metterà Botero alle strette e lo costringerà alle dimissioni.

Poi c’è il Paraguay e l’assassinio di due bambine di 11 anni. Siamo all’inizio di questo mese di settembre 2020 e ci troviamo vicino alla frontiera brasiliana, a Yby Yaú, una citta paraguaiana che si trova a circa 350 km dalla capitale del paese, Asunción. La forza congiunta paraguaiana – Ftc (formata da esercito e polizia) – esegue un’operazione che mira a distruggere il campamento principale del gruppo guerrigliero Epp (Esercito del Popolo Paraguayano). L’attacco avviene il 2 di settembre ed è lo stesso presidente del Paraguay, Mario Abdo Benítez, a dichiarare il buon esito delle operazioni militari e lo smantellamento della base guerrigliera.

Pochi giorni dopo però la verità sui fatti di Yby Yaú prende forma e inizia quello che ad oggi risulta essere un possibile crimine di Stato e un incidente diplomatico con la vicina Argentina. In realtà i guerriglieri, uccisi coraggiosamente dall’Ftc, sarebbero due minorenni di 11 anni, Lilian Mariana e María Carmen Villalba, che si trovavano in visita ad alcuni membri dell’Epp loro parenti. Inoltre le bambine avrebbero la cittadinanza argentina e sarebbero originarie della provincia di Misiones.

La Ftc argomenta che si sarebbe trattato di bambine soldato e che i guerriglieri le avrebbero usate come “scudo” per poter fuggire. Questa versione però si scontra con il tentativo di occultamento dei fatti da parte proprio della Ftc, che solo dopo l’apparizione della notizia sui giornali ha rettificato la versione ufficiale.

E’ in questo contesto regionale che si inserisce il manifesto congiunto del collettivo cileno “Las Tesis” (le autrici dell’inno Un violador en tu camino) e di Pussy Riot nel maggio 2020. Una denuncia delle donne contro la violenza, repressione e inumanità delle forze dell’ordine in America Latina: un testo duro, intenso e insorgente, un testo in cui questi collettivi si augurano di vedere il giorno nel quale le polizie della regione possano venire chiamate, senza un conato di vomito, difensori del popolo…

* Docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni.
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