Lavoro & Precari

Imprese femminili in Italia, tra “gender pay gap” e potenziale inespresso: meno di un terzo delle partite Iva è donna

L'associazione Progetto Donne e Futuro, all'interno del suo "Osservatorio mamme che lavorano", offre un quadro delle imprese femminili che in Italia sono "oltre un milione e 340mila e rappresentano il 22% del totale delle imprese nel registro delle Camere di commercio"

L’imprenditoria femminile in Italia deve essere incentivata e aiutata e ha un “potenziale” che ad oggi resta inespresso. Inoltre, solo una partita Iva su 10 può essere riferita a un’azienda “che in senso stretto può essere definita femminile”. L’associazione Progetto Donne e Futuro, all’interno del suo “Osservatorio mamme che lavorano”, offre un quadro delle imprese femminili – cioè dove la partecipazione di genere risulta complessivamente superiore al 50% o con un titolare donna per le ditte individuali -, che in Italia sono “oltre un milione e 340mila e rappresentano il 22% del totale delle imprese nel registro delle Camere di commercio“. Ma sono ancora “troppo poche rispetto anche alle agevolazioni e agli incentivi disponibili”, in un mondo del lavoro che già penalizza le mamme, rendendo impossibile conciliare lavoro e cura dei figli. Ed è importante ricordare che “gran parte di queste imprese sono partite Iva di donne solo parzialmente autonome nel rapporto di lavoro”.

In Italia meno del 2% di donne, contro il 4% degli uomini, sta avviando un’impresa, quando la media dei Paesi Ocse è di 5,3% per le donne e 7,9% per gli uomini. Nel nostro Paese poi ci sono “diversi meccanismi di incentivazione”, ma “manca la catena di trasmissione tra i fondi e l’energia imprenditoriale di moltissime donne”. Inoltre solo “il 27% del totale di tutte le partite Iva registrate e attive è attribuito a persone fisiche di sesso femminile a fronte del 45% della stessa tipologia riferita ai titolari uomini mentre il restante 28% è formato da persone giuridiche. Il 96,5% sono micro-imprese (94,5% quelle maschili) e il 62,3% sono ditte individuali (il 48,7% quelle maschili)”. Numeri che segnalano un evidente “gender gap” nel mondo aziendale italiano, confermato anche dalla ricerca Istat del 2017 sui lavoratori indipendenti, che ha rilevato “che all’interno dell’aggregato composto dalle partite Iva individuali la componente più autonoma (datori di lavoro + autonomi puri) è composta al 75% da uomini e solo dal 25% da donne mentre le donne compongono il 50% del totale dei lavoratori indipendenti solo parzialmente autonomi”.

Inoltre, come evidenziato da una ricerca svolta da Acta, “esiste un gender pay gap anche per le partite Iva” visto che “il 34,8% delle donne guadagna meno di 10mila euro a fronte del 15,6% degli uomini e il 10,3% degli uomini guadagna più di 60mila euro a fronte del 2,7% delle donne”. Importante anche il confronto con l’estero: “In Italia, nel 2018 solo il 12% delle start-up era prevalentemente femminile (9% in Francia, 11% in Germania, 30% nel Regno Unito, secondo i dati Ocse).

Le donne, quindi, “restano sottorappresentate nel mondo imprenditoriale. Operano tipicamente in realtà più piccole e meno dinamiche di quelle in cui troviamo gli uomini, in settori con minore intensità di capitale, hanno ambizioni di crescita minori e incontrano più ostacoli“.