Televisione

La tv travolta dal taglio di budget, compensi e pubblicità: ecco cosa sta accedendo (e quali saranno le conseguenze)

Il boom di ascolti, dovuto all'aumento della platea costretta a casa, non ha favorito gli introiti pubblicitari. Nei primi sei mesi dell’anno Nielsen ha segnalato una flessione di raccolta per il comparto tv del 22,3%. "Fra un anno e l’altro sono andati in fumo 400 milioni", ha spiegato Il Sole 24 Ore

Niente sarà più come prima. Come un mantra questa frase è stata ripetuta nei mesi del lockdown e può essere utilizzata per descrivere lo stato del piccolo schermo. Una tv travolta dai tagli ai budget e ai compensi, dal crollo della pubblicità, dalle difficoltà negli investimenti. E il boom di ascolti, dovuto all’aumento della platea costretta a casa, non ha favorito gli introiti pubblicitari. Nei primi sei mesi dell’anno Nielsen ha segnalato una flessione di raccolta per il comparto tv del 22,3%. “Fra un anno e l’altro sono andati in fumo 400 milioni“, ha spiegato Il Sole 24 Ore.

Politica dei tagli, dicevamo, intrapresa con forza dall’amministratore delegato della Rai Fabrizio Salini. Stando a quanto apprende il FattoQuotidiano.it il budget annuale a disposizione di Rai1 sarebbe sceso a 120 milioni di euro, il minimo storico. L’ennesimo taglio alla vera cassaforte dell’azienda che solo due anni fa, quando nel 2018 alla direzione della prima rete c’era Angelo Teodoli, poteva contare su 152 milioni di euro. Meno trentadue milioni in poco più di due anni. Sforbiciate ai cachet delle star, significative aggiungono nei corridoi del settimo piano. In alcuni casi anche vicini al 30%, con reazioni differenti e alcuni contratti ancora senza firma con la stagione già avviata.

Non solo, la governance ha spinto con forza su una politica di valorizzazione delle risorse interne. Con le eccezioni polemiche e una linea non sempre coerente. Una valorizzazione anche dei centri di produzioni di Torino e Napoli ai già più attivi di Roma e Milano. Tagli alle produzioni esterne, fin troppo influenti dalle parti di Viale Mazzini, con reazioni e pressioni che segnano gli umori ai piani alti. Dal 2019 a quest’anno Rai2 è passata da una produzione interna del 54% ad una del 64%, mentre Rai3 produce già per il 92% all’interno. Quanto a Rai1, invece, produce 383 ore in più all’interno rispetto al 2019.

Così il Coronavirus costringe l’azienda non solo ai tagli del budget e dei compensi ma anche a dover sostenere nuove spese per la sicurezza, per i controlli e le continue sanificazioni. Se il canone ha portato nelle casse della Rai nel 2019 1,76 miliardi di euro, la pubblicità ha aggiunto circa 700 milioni, per essere precisi 693 milioni di euro. La pandemia, come immaginabile, ha frenato le entrate della concessionaria guidata da Giampaolo Tagliavia con un -20,1% nel periodo gennaio-maggio rispetto agli stessi mesi del 2019, dato peggiorato ulteriormente a maggio con un calo del 37%. Inversione di tendenza, grazie alla ripartenza seppur parziale in tutti i settori, nei mesi di giugno e luglio: rispetto al periodo del lockdown hanno confermato nel complesso il fatturato dello scorso anno arrivando al pareggio.

Il tema pubblicità dalle parti di Viale Mazzini è in qualche modo rovente. In primis perché l’azienda è finita nel mirino dell’Agcom, della politica e della concorrenza con l’accusa di dumping sui prezzi della vendita degli spot. In sostanza di una politica di sconti fino al 90%, accuse che però la Rai rispedisce al mittente. Negli ultimi giorni, a peggiorare il clima, il disegno di legge depositato da Giorgio Mulè di Forza Italia e Michele Anzaldi di Italia Viva che stabilisce il divieto per l’emittente di Stato di percepire, direttamente e indirettamente, i proventi derivanti dalle operazioni di vendica degli spot.

“Vi aggrediremo con una marea di programmi nuovi. Prima cominciamo e prima smetteranno le repliche, mai era l’unico modo per salvare il nostro sistema televisivo. Sappiatelo, gentili lettori, vi chiedo scusa ma non potevamo fare diversamente”, ha dichiarato con sincerità Gerry Scotti al settimanale Tv Sorrisi e Canzoni. Una frase che descrive alla perfezione le difficoltà di Mediaset, da tv commerciale senza sostegno del canone, costretta a spegnersi d’estate per puntare tutto sull’autunno. Con palinsesti di fatto con zero novità, puntando sull’usato sicuro per sopravvivere e rilanciarsi, per prendersi meno rischi. “Nel periodo di lockdown per il coronavirus (dal 23 febbraio al 9 maggio, ndr) la raccolta pubblicitaria di Mediaset è scesa del 39% rispetto alle stesse settimane del 2019”, aveva affermato Matteo Cardani, Publitalia General Manager Marketing. Così, stando alle nostre fonti, anche a Cologno Monzese è arrivata una riduzione ai budget e qualche sforbiciata ai compensi delle star, oltre che alle società di produzione.

Luglio e agosto hanno portato a una inversione di tendenza con un trend di miglioramento, la raccolta pubblicitaria del Biscione è cresciuta del 10% rispetto a un anno fa, favorita in parte dalla presenza in onda su Canale 5 delle partite in chiaro della Champions League. E sul fronte La7? Le bocche sono cucite ma la linea della rete diretta da Andrea Salerno non si allontana da quelle dei due colossi generalisti. Urbano Cairo è da sempre attento ai costi e la pandemia lo ha spinto ancora di più verso l’ottimizzazione delle spese. Anche in questo caso con tagli mirati ai budget, soprattutto ai programmi prodotti dalle società esterne e ai compensi delle star. Come accaduto in Rai e Mediaset tutte i volti di punta di La7 hanno subito un taglio ai loro cachet: da Enrico Mentana a Lilli Gruber, da Corrado Formigli a Massimo Giletti, da Giovanni Floris a Myrta Merlino a molti altri. Niente sarà più come prima ma è tempo di ricominciare.